Toga più nera-azzurra che rossa in nome del suo inossidabile tifo per l'Inter, se stringi la mano ad Antonio INGROIA, stai pur certo che Te la stritolerà. Se vai ad incontrarlo, è lui che Ti ringrazia per essere venuto. Ferma la scorta (nel tempo libero gli accesi tornei di calcetto con gli agenti che adora purché tutti bardati di divise rigorosamente della nostra Beneamata) e Ti accoglie con apertura nel mondo dei suoi pensieri. Se lo guardi negli occhi vivaci ed intelligentissimi, vedi il fondo: sa di buono; se lo incontri d'estate, la sua pelle è biscottata e di color mattone: profuma di Sicilia. Se lo ascolti parlare, con la sua incisiva pacatezza, non Ti dimenticherai mai di lui, allievo prediletto di Paolo Borsellino e prosecutore della sua opera insieme a tanti altri Magistrati bravi, infaticabili ed onesti; la dedica del libro "Nel labirinto degli dèi" appena uscito per i tipi de "Il Saggiatore" è tutta per Paolo, "mio indimenticabile maestro". Ma prima di Paolo, Ingroia, oggi Procuratore Aggiunto presso la Procura Distrettuale Antimafia da più di vent'anni sotto scorta, è allievo ideale di Peppino Impastato: Antonio, nato nel '59, è un giovane studente di giurisprudenza presso l'Università di Palermo quando si avvicina al Centro Siciliano di documentazione dedicato alla memoria del fondatore di Radio Aut, prima che lo straordinario film "I cento passi" di Marco Tullio Giordana rivelasse al mondo chi era quel militante sul fronte antimafia ucciso da Cosa Nostra. Antonio Ingroia diviene responsabile della sezione cinema del Centro Impastato ed organizza seminari e proiezioni sul fenomeno mafioso. Automatico l'incontro con i giudici istruttori (siamo sotto la vigenza del vecchio Codice Rocco) Peppino Di Lello e Giacomo Conte, membri del pool, che già facevano parte del Centro Impastato. In particolare, è proprio il Dott. Conte a spiegare al giovanissimo Antonio che da magistrato avrebbe potuto mettere a frutto tale impegno antimafia. Indimenticabile anche l'incontro con il Capo Ufficio di Falcone, quel Dott. Rocco Chinnici autentico creatore (ideale) del pool (scelse i magistrati uno ad uno, Borsellino incluso) e precedessore di Antonino Caponnetto, mentre sarà poi il Procuratore Giancarlo Caselli a ricostituire il pool sempre secondo la lezione di Chinnici, ucciso con il primo attentato di stampo libanese (autobomba) in Via Pipitone Federico il 29 lug 1983. Muoiono con lui gli uomini della scorta Maresciallo CC Mario Trapassi ed Appuntato Salvatore Bartolotta, oltre addirittura al portiere del suo stabile, Stefano Li Sacchi. Chinnici, un mio personale MITO, è stato uno dei migliori Magistrati della storia d'Italia: "un legalitario inflessibile" lo definisce Ingroia, ma "con quello spirito aperto, comprensivo delle ragioni degli altri, che mi fece percepire il mondo della legge e della giustizia non come qualcosa di separato e di chiuso in sé". Rileggersi gli scritti di Chinnici oggi equivale a comprendere ch'era di vent'anni avanti con mezzi e conoscenze primordiali; aveva sviluppato un metodo di lavoro incredibile, infaticabile, nottambulo, trovava tempo per tutto. Al Centro Impastato il giovin Antonio conosce anche il Prof. Giovanni Fiandaca, uno dei più profondi cultori di Diritto Penale di cui ho sempre divorato ogni contributo, e finisce per scegliere come argomento per la tesi di laurea la nuova figura di reato introdotta dal legislatore, l'associazione di tipo mafioso prevista all'Art. 416-bis Codice Penale. Sotto l'onda emotiva suscitata dall'omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, all'epoca Superprefetto di Palermo, nel settembre 1982 venne finalmente inserita accanto all'Art. 416 del CP un'incriminazione ad hoc per il solo fatto di fare parte di un'associazione di stampo mafioso. L'esigenza derivava dall'inadeguatezza della figura dell'associazione per delinquere tradizionale in relazione alle rinnovate fattezze che andava purtroppo assumendo la mafia cosiddetta 'imprenditrice'; pur nella sua imperfezione tecnica, la formula resse e fu foriera di grandi successi. Magistrato di prima nomina in attesa di destinazione, Antonio viene assegnato in tirocinio da uditorello giudiziario alle cure del Dott. Giovanni Falcone. Giovanni (che da ragazzino giocava a pallone con Paolo nel quartiere popolare della Kalsa) aveva portato a compimento con Borsellino il "maxi" (già impostato da Chinnici) ed era asserragliato in un bunker all'interno del Palazzo di Giustizia di Palermo: un anfratto blindato. Quando entra per la prima volta in quel bunker cambia per sempre la vita di Ingroia, primissimo tirocinante della carriera di Falcone, forse pure perplesso ed infastidito per quella inattesa novità. In effetti, si insediava nel suo bunker, nella scrivania accanto alla sua un giovane perfetto sconosciuto, che gli avrebbe imposto ancor più cautele a salvaguardia degli scottanti fascicoli che riempivano all'inverosimile la stanza, neppure grande, l'ultima del corridoio. Era per giunta il momento caldo in cui Falcone stava penetrando nei santuari dei potentati politico-economici della Sicilia. Ingroia ruba con gli occhi la tecnica indagativa ed il modo sornione di interrogare un teste reticente. Del libro mi ha colpito il racconto di pag. 88 dell'11 settembre 2001 a Boston, mentre in sede di rogatoria internazionale è in corso l'interrogatorio in Usa del pentito Francesco Marino Mannoia, si consuma l'immane tragedia delle Torri Gemelle a New York e tutti i palazzi federali, incluso, quindi, il Palazzo di Giustizia di Boston, sono divenuti potenziali obiettivi dei terroristi per via dell'altro aereo dirottato; Vi lascio la sorpresa per la situazione bizzarra in cui si viene a trovare il Dott. Ingroia; e poi mi ha molto interessato il capitolo 7 (amicizie e tradimenti) che tratta del Maresciallo Canale e dell'uccisione dell'anziano capomafia Gaetano D'Amico perché fedele alla linea cauta della mafia vecchio stile. Mi piace come Antonia delinea, oltre la verità giudiziaria dei processi, il dramma umano di Carmelo Canale, braccio destro di Borsellino. E poi, sempre nel settimo capitolo, l'Autore analizza il triste caso-Ciuro. Pippo Ciuro è un maresciallo della Guardia di Finanza stretto collaboratore di Ingroia, custode di indagini importanti e delicate, che peraltro condusse "con ottimi risultati e senza generare un qualsiasi dubbio sulla sua correttezza istituzionale, né in me né nei suoi diretti superiori" della GdF ricorda Ingroia a pag. 112 del libro. "Invece ho dovuto prendere atto della sua infedeltà": si noti l'amarezza nelle espressioni di Ingroia quando afferma "Ciuro ha pagato pesantemente per la sua colpa, con una condanna maggiore di quelle di altri suoi coimputati; persone, queste, veramente importanti e più potenti di lui. E' finito anche in galera". Ma Ingroia è arrabbiato per l'altra colpa, quella "commessa con me. Una colpa difficile da perdonare". In conclusione, l'ultima opera di Antonio Ingroia, un Magistrato di razza con idee ed ideali, ma autonomo ed indipendente, "Nel labirinto degli dèi", edito da "Il Saggiatore", è un bellissimo e frusciante libro di 180 pagine ancora profumate d'inchiostro perché appena finito di stampare e costa €15,00 a mio sommesso avviso ben investiti in storie e fatti che esercitano la memoria. Quella che la tv vuol toglierci.
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