L'autonomia scolastica, principalmente in Italia ed in Francia, è nata per dare maggiore libertà e sfogo positivo a quella espressione interna degli Istituti rappresentata da: 1. desiderio degli Alunni di svolgere attività intracurricolari ed extracurricolari, più vicine ai loro interessi prossimi; 2. desiderio delle Famiglie di vedere i propri figli in una scuola più vicina alle proprie abitudini, più plasmabile e di quartiere; 3. aspirazione dei Docenti a mettere alla prova una nuova metodologia e la propria preparazione in campi diversi, non propriamente curricolari; 4. desiderio dei Dirigenti scolastici di avere una propria autonomia gestionale e, per alcuni versi, anche una libera iniziativa pedagogica, simile a quella dei dirigenti dei dipartimenti universitari; 5. interessi finanziari di governo intesi a razionalizzare le somme erogate nei confronti delle istituzioni scolastiche, in base a nuovi parametri, concernenti un tetto massimo invalicabile entro il quale le scuole possano gestire le iniziative deliberate dagli Organi Collegiali; 6. prospettiva di dare corpo effettivamente alle finalità istituzionali degli organi collegiali a livello di Istituto.

Tali presupposti sono subito apparsi a tutti, dagli anni 90 in poi, i toccasana per una scuola finalmente soddisfacente sotto tutti i punti di vista e nonostante la permanenza di alcuni nodi di grande consistenza, (zone d'ombra di tipo metodologico, incertezza sulle risorse) si è partiti con grande entusiasmo.
Ma ecco, prima in Italia, poi in Francia, le critiche: un mare di problemi irrisolti, infine i primi dubbi sul raggiungimento degli obiettivi scientifici, sociali, occupazionali e politici.
Dal controllo degli obiettivi raggiunti, seguendo le direttrici (scientifiche, sociali, occupazionali, politiche) si potrà avere il quadro teorico del risultato dell'autonomia scolastica. Ma non essendo stata effettuata dagli istituti, per questo attrezzati, una ricerca organica e comparata sui risultati generali della scuola dell'autonomia, si può per ora soltanto commentare una serie casuale di indicatori di risultato:
  • successo scolastico (numero degli studenti diplomati annualmente),
  • insuccesso scolastico (numero dei bocciati, numero degli abbandoni scolastici),
  • successo scientifico (numero dei laureati, numero degli abbandoni universitari),
  • successo occupazionale (numero degli occupati, numero dei disoccupati),
  • educazione civica (devianza sociale, bullismo, criminalità giovanile),
  • migrazione delle intelligenze (trasferimenti da o per l'estero),
  • numero di iscrizioni agli Istituti paritari,
  • numero di laureati in possesso di diploma conseguito presso Istituti paritari.
Premesso che tale studio organico richiederebbe l'impiego di modeste risorse, in quanto la maggior parte dei dati sono reperibili negli archivi dell'anagrafe scolastica, delle università, dei Centri provinciali per l'impiego dei giovani e del Ministero della Giustizia, è deducibile che si è fermi in generale (opinionisti, politici e pedagogisti), in timoroso silenzio, a sperare che le cose si aggiustino da sole.
Ma opinionisti, politici e pedagogisti in genere "cantano in coro" e forse per ora stanno raccogliendo gli strumenti tra le direttrici di studio, sopra indicate, per dire la loro.
Intanto in Francia già la stampa accenna alla disparità di risorse, progetti e prospettive tra le scuole autonome di città e di periferia. Mentre qui, in Italia, le voci si levano quotidianamente in coro da parte dei Sindacati che lamentano l'esiguità delle risorse; le famiglie lamentano la carenza di professionalità, strutture, risorse; i Dirigenti scolastici lamentano carenze di strutture, risorse per le spesa corrente e parità di trattamento tra le aree dirigenziali. Il dato più rilevante è quello della diversità economico-strutturale che si sta evidenziando tra le varie scuole autonome a seconda di:
  • area geografica di collocazione (etnia, economia, risorse professionali, viabilità, trasporti),
  • tipologia di Istituto,
  • numero di frequentanti.
Tali differenze, direttamente correlate a carenze locali, non sono vissute in funzione delle caratteristiche peculiari dell'asse di studio tipico di un istituto, ma attengono alla stessa qualità della vita scolastica, della formazione dell'individuo e della sua riuscita sociale e lavorativa. Pertanto si insinua, sia in Francia che in Italia, il dubbio che l'autonomia non aiuti le scuole più povere delle aree depresse.
Se questo dubbio troverà una conferma scientifica attraverso le verifiche summenzionate, occorrerà ripensare l'autonomia e fare una veloce inversione di marcia, per riorganizzare centralisticamente le scuola pubblica, nell'interesse dell'utenza, proprio secondo quanto si evince dalle critiche emerse in Francia.
Prof. Gennaro Iasevoli
(da: Dibattito accademico, opinioni sulla ricerca psico-pedagogica e sui risultati della scuola in Italia)

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