La norma in questione è quella di cui all'art.7, c.4, legge 23 luglio 1991 n.223, secondo la quale " l'indennità di mobilità non può comunque essere corrisposta per un periodo superiore all'anzianità maturata dal lavoratore alle dipendenze dell'impresa che abbia attivato la procedura di cui all'art.4". Il fine "evidente", secondo la Cassazione, della norma di cui sopra è quello di evitare il rischio di "programmate precostituzioni di anzianità lavorative " che avrebbero come unico scopo quello di godere di una maggiore indennità di mobilità. La formulazione della norma ex art.7, c.4, legge 23 luglio 1991 n.223, ritiene la Consulta, impedirebbe qualsiasi ampliamento dell'ambito operativo della disposizione in esame in quanto gli interessi in gioco sono quelli che stanno alla base della regolamentazione della mobilità. Nel caso de quo l'azienda era stata dichiarata fallita ed i ricorrenti erano stati dapprima collocati in cassa integrazione straordinaria e poi, dopo un contratto di affitto d'azienda, assunti da un'altra società conservando l'anzianità pregressa e le mansioni svolte precedentemente, per essere infine licenziati a causa della cessazione dell'attività aziendale ed essere così collocati nelle liste di mobilità. I ricorrenti lamentavano che l'INPS aveva loro riconosciuto l'indennità di mobilità per un periodo inferiore a quello effettivamente spettante, in relazione alla loro rispettiva età anagrafica ed all'anzianità di servizio. Dott. Valter Marchetti, Patrocinatore Legale, Foro di Savona
Cass. Civ., Sez. Lav., Sentenza 16 maggio 2008, n.12406 - Dott. Valter Marchetti

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