Con sentenza del 13 aprile 2007, n. 8910, la Suprema Corte ha ribadito che la comminazione di sanzioni disciplinari rientri tra i poteri esclusivi del datore di lavoro. Il caso esaminato dalla Corte riguarda un liquidatore di sesto livello, dipendente di una compagnia assicuratrice, il quale aveva proposto ricorso al giudice ordinario per ottenere l'annullamento di una sanzione disciplinare, nonche' il risarcimento dei danni subiti per l'illegittima sanzione. Il Giudice del lavoro commutava in senso riduttivo la sanzione (da sospensione in biasimo scritto) e rigettava la domanda di condanna al risarcimento dei danni.La sentenza veniva confermata anche dalla Corte d'appello. Il lavoratore decideva,allora, di proporre ricorso in Cassazione, per violazione degli artt. 112, 416 e 418 c.p.c., lamentando un vizio di ultra petitum della sentenza, considerato che l'applicazione di una sanzione disciplinare minore rispetto a quella inflitta non formava oggetto di domanda di alcuna delle parti. La Suprema Corte ha, sul punto, evidenziato che, in verita', la riduzione della sanzione operata dai giudici di merito fosse legata ad una domanda del datore di lavoro, espressamente subordianata all'accoglimento della domanda attorea; ha, poi, chiarito che il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionarle alla gravita' dell'illecito commesso dal dipendente rientri nel potere di organizzazione dell'impresa del datore di lavoro, quale espressione del principio della liberta' di iniziativa economica ex art. 41 C.. Alla luce di questo, solo il datore di lavoro puo' applicare delle sanzioni disciplinari, fermo restando il potere di intervento della magistratura, che puo' essere certamente anche riduttivo della sanzione qualora l'imprenditore abbia superato i limiti edittali massimi di cui alla contrattazione collettiva. (Avv. Valentina Rossi)
Cassazione, sez. lavoro, Sentenza 13.4.2007 n. 8910 - Avv. Rossi Valentina

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