non è proprio detto che una decisione presa in un'assemblea invalida o con maggioranze insufficienti non sia applicabile
Pochi lo sanno, però: non è proprio detto che una decisione presa in un'assemblea invalida o con maggioranze insufficienti non sia applicabile. Infatti le delibere si distinguono in "nulle" ed "annullabili". Le prime è come se non fossero mai state prese: proprio per questo sono impugnabili in qualsiasi momento, senza limiti di tempo. Viceversa le delibere annullabili divengono valide se non impugnate entro 30 giorni. Tale periodo decorre, per i presenti all'assemblea, dal momento della delibera. Viceversa, per gli assenti, dal giorno in cui hanno ricevuto il verbale d'assemblea.
Un mese non è molto: spesso non basta per rendersi conto di quanto si è deciso, arrabbiarsi, mettersi in contatto con un avvocato per farsi consigliare e infine promuovere la causa. Di conseguenza capita spesso che un condomino, pur avendo formalmente ragione, si vede preclusa la strada di far valere quelli che, fino a pochi giorni fa, erano suoi sacrosanti diritti. C'è stato un tempo in cui la Cassazione riteneva che fossero nulle buona parte delle delibere illegittime: per esempio quelle prese in un assemblea considerata per sé stessa nulla, perché non tutti avevano ricevuto l'avviso di convocazione o perché mancava il numero legale per tenerla. Oppure quelle prese con maggioranze insufficienti. Ora non più: l'ambito delle delibere considerate comunque e in ogni tempo invalide è stato radicalmente ristretto dai giudici. Forse ha influito il proposito di dare un taglio alla rissosa conflittualità condominiale, che intasa le aule dei tribunali.
Delibere nulle. Sono ancora considerate nulle quelle delibere che:
sono fuori dai poteri dell'assemblea;
sono contrarie a norme imperative di legge, o comunque a norme costituzionali.
Le prime potrebbero essere ricondotte da due tipi:
• delibere che prevedono il voto favorevole dell'unanimità dei condomini, previsto o dal codice civile o da norme contrattuali del regolamento condominiale approvato da tutti (in genere al momento dell'acquisto dell'appartamento).
• delibere che non riguardano la proprietà o le parti comuni e la loro regolamentazione, ma sconfinano nei diritti del singolo proprietario.
Quanto alle seconde, l'elenco potrebbe essere infinito:
pensiamo alla decisione di mettere in opera un abuso edilizio o a quella di vietare l'acquisto di appartamenti a persone di razza o colore della pelle diverso dal nostro.
Le delibere nulle sono impugnabili da tutti i condomini, perfino da chi ha votato a favore, e in qualsiasi momento.
Delibere annullabili. Sono invece, annullabili tutto il resto delle delibere. Quindi quelle prese in assemblee illegittimamente convocate e con maggioranze non qualificate, oppure che riguardano argomenti non compresi nell'ordine del giorno. L'impugnativa può essere proposta unicamente con atto di citazione, entro il termine tassativo di trenta giorni. Non basta quindi una semplice lettera raccomandata all'amministratore o al condominio. A impugnarla possono essere i condomini dissenzienti e quelli astenuti, che sono loro equiparati. Anche i condomini assenti possono impugnare le delibere e i 30 giorni scattano quando hanno avuto comunicazione della delibera. Naturalmente, se un condomino assente è stato rappresentato da un delegato, che ha votato a favore o contro, è come se avesse votato a favore o contro lui. Ciò vale per le delibere annullabili: come abbiamo chiarito precedentemente, quelle nulle possono invece essere impugnate anche da chi votato a favore. L'impugnazione può essere fatta anche da un solo comproprietario del medesimo appartamento. L'usufruttuario può impugnare le delibere riguardanti l'ordinaria amministrazione, mentre il nudo proprietario quelle inerenti innovazioni e opere di manutenzione straordinaria. L'azione dell'inquilino è limitata alle delibere in cui ha diritto di voto, quali ad esempio quelle riguardanti il servizio di riscaldamento.
Va aggiunto che anche i provvedimenti dell'amministratore presi senza il necessario assenso dell'assemblea, se impugnati in giudizio e non nell'assemblea stessa, hanno lo stesso termine per l'impugnazione.
Modi dell'impugnazione. L'impugnazione deve essere formulata con un atto legale da notificare a mezzo di ufficiale giudiziario al condominio, nella persona e presso l'ufficio dell'amministratore. Si tratta di un atto di citazione a comparire davanti al giudice per una determinata udienza, con l'invito al condominio a costituirsi in giudizio per svolgere le proprie difese. Deve essere predisposto da un avvocato e non direttamente dal singolo condomino, salvo nell'ipotesi di contenziosi davanti al giudice di pace per un modesto valore (non superiore a 516,46 euro), nel qual caso anche il condomino può stare in giudizio personalmente. Le delibere assembleari annullabili sono immediatamente esecutive e l'esecutività non è sospesa dalla proposizione dell'impugnazione. È il giudice che, su espressa domanda del condomino che ha impugnato, può disporne la sospensione qualora ritenga che la durata del giudizio possa comportare un danno per il condomino impugnante e che il suo diritto possa essere leso o pregiudicato dall'esecuzione della delibera impugnata. La sospensione è diretta a impedire che l'esecuzione della delibera che si asserisce essere invalida possa vanificare il giudizio diretto ad accertare l'illegittimità. Nel caso in cui l'assemblea decida di cancellare o modificare la delibera contestata, il giudice dichiara cessata la materia del contendere e si limita a decidere sulle spese della causa. E' una prassi diffusa dei giudici spartire equamente le spese tra i contendenti (anche se chi aveva impugnato la delibera aveva ragione). Il risultato è che l'impugnazione può trasformarsi comunque in un esborso di denaro.
Nullità, annullabilità e regolamento condominiale contrattuale. In linea di principio le disposizioni contenute in un regolamento contrattuale approvato da tutti i condomini sono modificabili solo all'unanimità: quindi, se vengono infrante da una delibera, essa è radicalmente nulla. Tuttavia la Cassazione ha voluto ribadire che una norma contenuta o allegata al regolamento può non essere "contrattuale" essa stessa, perché non pone limiti all'uso della proprietà esclusiva di ciascuno, o di quella collettiva, o stabilisce la ripartizione dei millesimi di proprietà. Una norma del genere va considerata come una semplice regolamentazione dell'uso delle parti comuni, modificabile a maggioranza dei partecipanti all'assemblea e dei millesimi. Se ne deduce che una delibera che sia in contraddizione a questo tipo di disposizioni, anche se contenute nel regolamento contrattuale,non è nulla, ma è semplicemente annullabile. E il caso, per esempio, dell'atto contrattuale in cui si vieta di installare tende sui balconi, di far giocare i bambini nel cortile o si definiscono i compiti dell'amministratore.
Nullità relativa delle delibere. Vi è però un altro, particolare caso in cui, a detta di alcuni giudici, una delibera in contrasto con il regolamento contrattuale può trasformarsi in una decisione valida. Si tratta dell'errata ripartizione delle spese in violazione delle apposite tabelle millesimali. Nel caso in cui i condomini tengano un comportamento costante ed inequivoco pagando, senza riserve, le spese di gestione per un certo periodo di tempo, i giudici parlano di "nullità relativa" della delibera e di accettazione della ripartizione "per facta concludentia".
E indispensabile, a questo proposito, chiarire che la violazione non deve riguardare le tabelle dei millesimi di proprietà (che hanno come scopo di determinare i diritti e i doveri di ogni condomino sulle cose comuni e che sono in genere proporzionali al piano, o alla parte di piano posseduto) bensì le tabelle di quelli di gestione, che hanno un fine molto più limitato, stabilire la ripartizione delle spese condominiali. Per esempio le tabelle relative alle spese per l'ascensore, per il riscaldamento, per l'acqua per l'immondizia. Evitare i "facta concludentia" non è facilissimo. E' prudente non solo pretendere di fare trascrivere nel verbale dell'assemblea il proprio dissenso, ma anche non pagare le spese con i bollettini o i Mav (conti correnti postali) inviati dall'amministratore, ma con bonifici bancari a parte nella cui causale (lo spazio lasciato per le annotazioni) si scriva una frase del tipo "salvo conguaglio, per inesatta ripartizione delle spese".
Avv. Silvio Rezzonico

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