Non è illegittima la normativa che esclude solo i pubblici dipendenti, anche se part-time, all'esercizio della professione forense. Queste le conclusioni a cui è giunta la Corte Costituzionale nella sentenza n. 390, del 21 novembre 2006, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Cuneo, dell'articolo 1 della legge 25 novembre 2003, n. 339, in riferimento agli articoli 3, 4, 35 e 41 della Costituzione. La fattispecie di che trattasi vede coinvolto un dipendente pubblico della Provincia di Cuneo che ha impugnato davanti al competente Tribunale il provvedimento con il quale l'amministrazione aveva respinto la sua istanza di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro part- time, al 50 per cento dell'orario a tempo pieno, motivata con l'intenzione di esercitare la professione di avvocato. Il tribunale adito, nel corso del giudizio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 25 novembre 2003 n. 339, in riferimento agli articoli 3, 4, 35 e 41 della Costituzione. Analoga questione di legittimità, riguardo agli articoli 1 e 2 della citata legge, era stata sollevata anche dal Tribunale di Napoli, in occasione di un'altra causa promossa da un dipendente a cui era stata rigettata la propria domanda di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale, in riferimento agli art. 3 e 4 della Costituzione, che però la Corte Costituzionale, riuniti i giudizi per analogia, ha dichiarato inammissibile in quanto il rigetto dell'amministrazione precludeva il rilievo del divieto di cui alla legge 339 del 2003. Tornando alla decisione in esame, delle argomentazioni a sostegno dei dubbi di legittimità sollevati dal Tribunale di Cuneo, la Corte ha posto in particolare l'attenzione sulla questione "se debba ritenersi manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di escludere la sola professione forense dal novero di quelle - e cioè di tutte le altre per l'esercizio delle quali è prescritta l'iscrizione in un albo - alle quali i pubblici dipendenti a part-time cosiddetto ridotto possono accedere". Al riguardo, secondo i giudici della Consulta, con la legge 339 del 2003, il legislatore ha volto compiere una scelta, motivata dalla presenza di una maggiore pericolosità e frequenza di inconvenienti, derivanti dalla «commistione» tra pubblico impiego e libera professione, nella materia riguardante la professione forense. Tale rilievo attiene "all'opportunità della scelta ovvero all'opportunità della non estensione di essa ad altre attività libero-professionali, non alla manifesta irragionevolezza". Motivazioni queste idonee per la Corte a non ritenere fondata la questione di legittimità. Nella presente sentenza, particolare attenzione merita l'eccezione alla regola dell'esclusione all'esercizio della professione forense dei docenti, anch'essi pubblici dipendenti, i quali non subiscono alcuna limitazione, non essendo neanche richiesta la trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro part- time. In merito, la Corte Costituzionale, ha argomentato la legittimità dell'eccezione che riguarda i docenti sul fatto che "deve essere considerata alla luce del principio costituzionale della libertà dall'insegnamento (art. 33 Cost.), dal quale discende che il rapporto di impiego (ed il vincolo di subordinazione da esso derivante), che come non può incidere sull'insegnamento (che costituisce la prestazione lavorativa), così, ed a fortiori, non può incidere sulla libertà richiesta dall'esercizio della professione forense". (Nota di Gesuele Bellini) LaPrevidenza.it,
Corte Costituzionale 21.11.2006 n° 390 - Gesuele Bellini

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