Basta ai bandi delle PA che non prevedono compensi per i professionisti. Ecco su che cosa interviene l'emendamento al Milleproroghe Gribaudo-Orlando

di Annamaria Villafrate - Niente bandi a zero euro. E' quanto prevede un emendamento sull'equo compenso al decreto Milleproroghe, all'esame del Parlamento per la conversione in legge. Il testo dell'emendamento Gribaudo-Orlando interviene per rafforzare la disciplina dell'equo compenso, stabilendo il divieto per le Pubbliche amministrazioni di pubblicare bandi di concorso per ottenere prestazioni professionali a costo zero. Una pratica odiosa a cui si vuole porre rimedio, tutelando anche i professionisti che non hanno un albo e un ordine professionale di appartenenza.

Equo compenso: stop ai bandi gratis delle PA

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L'emendamento Gribaudo-Orlando sancisce il divieto per le Pubbliche amministrazioni di disporre bandi gratuiti per il conferimento di incarichi professionali o l'affidamento di opere pubbliche.

Il compenso pattuito deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionali richiesta, tenendo conto dei parametri utilizzati in sede di liquidazione giudiziale. Per i professionisti invece, nel caso degli avvocati si deve fare riferimento ai parametri stabiliti dal DM 55/2014, mentre per le altre professioni regolamentate occorre tenere conto dei criteri indicati dal Dm n. 140/2012.

Al momento restano fuori quindi i liberi professionisti per i quali non esistono albi o collegi. A loro deve pensare il Ministro dello sviluppo economico, definendo i parametri necessari alla determinazione del compenso, dopo aver consultato sul punto le associazioni più rappresentative.

Con l'emendamento Gribaudo- Orlando quindi si vanno a sanare due problemi. Il primo è quello dei bandi gratuiti delle PA, il secondo invece la determinazione dei compensi dei professionisti privi di un ordine o un albo.

Equo compenso avvocati

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L'intervento messo in atto dall'emendamento ha l'obiettivo di completare in qualche modo la disciplina sull'equo compenso, introdotta dalla legge di bilancio n. 205/2017 per il 2018, la quale è intervenuta sull'art. 13 bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247 contenente la "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense."

Articolo che, dopo la riforma operata dalla legge di bilancio prevede che, il compenso degli avvocati iscritti all'albo, nei rapporti professionali regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, in favore di imprese bancarie e assicurative o di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, deve essere equo. Si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni se proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale ed è conforme ai parametri previsti dal regolamento adottato dal Ministro della giustizia.

Nullità delle clausole vessatorie

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La norma però predispone un'ulteriore forma di tutela nei confronti del libero professionista, ovvero quella della nullità delle clausole vessatorie applicate alla prestazione.

Essa definisce vessatorie le clausole contenute nelle convenzioni tra banche, imprese e avvocato, che determinano, anche per la non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a sfavore dell'avvocato. Tra le clausole vessatorie più significative quella che attribuisce solo al cliente la possibilità di modificare unilateralmente l'accordo, quella che pone a carico dell'avvocato l'anticipo delle spese di causa o quella che permette al cliente di pagare l'avvocato decorsi termini più lunghi di 60 giorni dall'invio della fattura.

Qualora la convenzione contenga una delle clausole vessatorie indicate dall'art 13 l'avvocato può rivolgersi al giudice che, dopo averne dichiarato la nullità procederà alla determinazione del compenso del legale "tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia."

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