La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con sentenza n. 9743/02, ha affermato l'illegittimità del licenziamento del lavoratore sindacalista che, nell'ambito della sua attività sindacale, abbia utilizzato nei confronti del datore di lavoro espressioni "forti" che, in altri contesti, dovrebbero esser ritenute offensive. L'offensività del linguaggio, infatti, deve essere valutata in relazione al contesto in cui lo stesso si inserisce e nella dialettica politico sindacale spetta appunto al sindacalista scegliere la forma comunicativa più efficace per supportare le posizioni da lui sostenute, senza con ciò necessariamente incorrere nei reati di ingiuria o diffamazione. In altre parole, sostiene la Suprema Corte, al fine giudicare la legittimità o meno di un licenziamento per giusta causa, il giudice di merito deve attenersi al seguente principio di diritto: nel valutare le espressioni profferite da un lavoratore sindacalista in un contesto di conflittualità aziendale e che possono apparire lesive del rapporto di fiducia con il datore di lavoro, è necessario ?accertare se le stesse non costituiscono la forma di comunicazione ritenuta più efficace ed adeguata dal sindacalista in relazione alla propria posizione in un determinato contesto conflittuale, non prestandosi, in tal caso, le stesse, in quanto espressione di una lata responsabilità politico-sindacale ad esser valutate con il parametro dell'inadempimento nei confronti del datore di lavoro dovuto a lesione dell'altrui sfera giuridica nell'esercizio di un diritto di rilevanza costituzionale?.

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