Diverse Regioni italiane schierate contro il Decreto Sicurezza di Salvini ricorrono alla Corte Costituzionale

di Annamaria Villafrate - Piemonte, Umbria, Toscana, Calabria, Basilicata, Emilia Romagna, Lazio e Sardegna compatte contro il decreto Sicurezza di Matteo Salvini. La questione gira tutta attorno all'art 13 del decreto sicurezza, norma che vieta l'iscrizione all'anagrafe comunale dei richiedenti asilo. Secondo i presidenti regionali e diversi sindaci questa norma impedirebbe ai comuni di concedere agli immigrati la residenza e il documento d'identità e alle Regioni di garantire un'adeguata assistenza sanitaria e non solo. Alcuni rappresentanti delle istituzioni locali sostengono che il decreto violerebbe i diritti umani, i trattati internazionali, ma soprattutto i principi di solidarietà umana. Insomma la polemica sul Decreto Sicurezza, sollevata dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando e da quello di Napoli Luigi De Magistris non sembra placarsi. Il vicepremier però non sembra intimorito dalle accuse d'incostituzionalità del suo decreto e contrattacca. In ogni caso, se le Regioni dovessero presentare ricorso ma lo Stato facesse un passo indietro, la Consulta non avrebbe motivo di pronunciarsi.

Facciamo chiarezza sulla questione:

Decreto sicurezza: la norma delle polemiche

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La norma della discordia, che tante discussioni e polemiche sta sollevando in questi giorni è l'art. 13 del decreto sicurezza (Dl 113/2018) secondo cui il permesso di soggiorno per la richiesta di asilo non permette l'iscrizione all'anagrafe, nonostante la sua valenza come documento di riconoscimento. Come dichiarato da Antonio Bartolini, assessore umbro, la norma presenta profili di "palese incostituzionalità che vanno ad impattare su tutte le più importanti materie di legislazione regionale quali salute, assistenza sociale, diritto allo studio, formazione professionale e politiche attive del lavoro e l'edilizia residenziale pubblica." La norma si porrebbe in contrasto con l'articolo 6, comma 7, del Testo unico sull'immigrazione, il quale sancisce che le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero che soggiorna regolarmente nel nostro paese devono essere effettuate alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani e che, la dimora dello straniero si considera abituale se ospite documentato da oltre tre mesi presso un centro di accoglienza.

Ora, poiché il decreto sicurezza nega l'iscrizione all'anagrafe ai titolari di permesso di soggiorno richiedenti asilo a causa della provvisorietà di tale documento, finalizzata a gestire più rapidamente l'iter amministrativo della pratica, secondo le Regioni, visto che comunque tale procedura, di fatto, non si conclude quasi mai prima dei tre anni, negare nel frattempo l'iscrizione all'anagrafe pare del tutto irragionevole e illegittimo poiché impedisce alle Regioni di garantire i diritti base della salute, dello studio e della formazione, ostacolando il processo d'integrazione.

Le Regioni contro il decreto Sicurezza

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Al momento le Regioni che si oppongono al Decreto Sicurezza sono: Piemonte, Umbria, Toscana, Calabria, Basilicata, Emilia Romagna, Lazio e Sardegna. Alcune stanno ancora valutando di ricorrere alla Consulta, altre invece hanno già deciso.

L'Umbria ricorre alla Consulta contro il decreto sicurezza, come deciso nel corso della seduta del 7 gennaio della giunta regionale, dopo l'annuncio della presidente Catiuscia Marini, che non intende abbandonare la tradizione millenaria dell'accoglienza del popolo umbro e privare gli immigrati dei servizi e dei diritti riconosciuti agli stranieri regolari.

Anche la Toscana è pronta a presentare il suo ricorso alla Corte costituzionale contro il decreto Sicurezza, come annunciato dal presidente Enrico Rossi, che ravvisa nel provvedimento di Salvini "profili di lesione delle competenze costituzionalmente garantite alle Regioni".

Pronta anche la Basilicata , come emerso dalla Giunta presieduta dalla vice Flavia Franconi.

Il Piemonte, da parte sua, avanza ricorso condividendo le tesi giuridiche sulla competenza sollevate da Toscana e Umbria.

L' Emilia-Romagna annuncia, tramite il suo Presidente Stefano Bonaccini, di voler impugnare "solo le parti che stanno generando conflitto e confusione", ovvero quelle che riguardano le Regioni e i Comuni.

Anche il Lazio sembra pronto al ricorso. Nel frattempo il governatore Zingaretti ha emesso una direttiva alle Asl con cui viene disposta la non interruzione dell'assistenza sanitaria.

La Regione Calabria si rivolgerà alla Consulta "per chiedere l'annullamento della normativa al fine di stoppare una legge che viola diversi trattati internazionali sui diritti umani e i principi fondanti la nostra Costituzione".

La Sardegna al momento sta ancora valutando, anche se nel frattempo il presidente Francesco Pigliaru dichiara: "Siamo davanti a un provvedimento nato su presupposti sbagliati e che non solo nega servizi essenziali a chi ne ha diritto, ma pone gli amministratori locali di fronte a seri problemi sul fronte dell'ordine pubblico, creando così incertezza e insicurezza."

Incerte ancora Marche e Campania, che stanno valutando il da farsi.

Ricorso per violazione di competenza

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Le Regioni che hanno già deciso o decideranno di presentare ricorso alla Consulta per la dichiarazione d' illegittimità costituzionale dell'art. 13 del Decreto Sicurezza, di fatto, possono ricorrere direttamente, se ritengono che violi le loro competenze, nel caso specifico soprattutto in materia sanitaria e garanzia del diritto alla salute.

Ciò che caratterizza però i ricorsi diretti di Stato e Regioni per questioni di competenza è la loro rinunciabilità. Chi lo presenta in sostanza può sempre decidere di non proseguire.

Per cui, se il Governo dovesse prevedere modifiche al Decreto Sicurezza, in accoglimento delle istanze sollevate dalle Regioni, non ci sarebbe bisogno di andare a sentenza. Staremo a vedere.

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