Posto che il provvedimento ordinante la liquidazione di una persona giuridica non costituisca giusta causa (art. 2119, comma 2, c.c.) e neppure, di per sé, giustificato motivo di risoluzione del rapporto di lavoro, il Tribunale nella sentenza qui impugnata ha creduto di uniformarsi alla massima, più volte enunciata da questa Corte, secondo cui, nel caso di sottoposizione dell'impresa a liquidazione coatta amministrativa, il lavoratore dipendente deve proporre o proseguire davanti al giudice del lavoro le azioni non aventi ad oggetto la condanna al pagamento di una somma di denaro, come quelle tendenti alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento o alla reintegrazione nel posto di lavoro, mentre divengono improponibili o improseguibili temporaneamente, ossia per la durata della procedura amministrativa di liquidazione, le azioni intese ad una condanna pecuniaria (Cassazione 3522/1998, 8136/1999, 7907/1995, 15477/2000). Ciò premesso, il Tribunale ha emesso la sentenza nei confronti dell'Istituto di patronato "in liquidazione coatta amministrativa ed in persona del commissario liquidatore" (così nell'epigrafe) e nella parte narrativa ha espressamente constato la regolare notifica dell'atto d'appello. Né dai documenti depositati ora dal ricorrente ai sensi dell'art. 372, comma 1, c.p.c. risulta alcun dato idoneo ad indicare la non regolare formazione del contraddittorio..... Si ringrazia il Prof. Paolo Cendon LaPrevidenza.it, 15/05/2006
Cassazione, SSUU, Sentenza 10.1.2006, n. 141

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