Mentre i tribunali stanno incentivando il ricorso alla coordinazione genitoriale per gestire i casi di più elevata conflittualità si apre un serrato dibattito sulla esatta qualificazione della nuova figura

di Marino Maglietta e Claudia Piccinelli * - Intorno alla coordinazione genitoriale, strumento di recente introduzione (v. ad es., C. Piccinelli, Le linee guida sulla coordinazione genitoriale, 2015, in Ilcaso.it) destinato a gestire le coppie a più elevata conflittualità, è crescente l'interesse così come l'utilizzazione da parte dei tribunali: da Civitavecchia a Milano, da Pavia a Mantova, da Reggio Emilia a Varese e a Brescia.

La qualificazione "atecnica" del coordinatore genitoriale

Uno degli aspetti più dibattuti è certamente la qualificazione della figura dell'operatore, che si pone in modo certamente insolito per il nostro ordinamento nei confronti sia del giudice, che delle parti, nonché degli altri soggetti che gravitano intorno alla problematica. In particolare, una tesi che sta prendendo piede è quella che ne fa una sorta di "tutore" della coppia. Si tratta pressoché esclusivamente di una visione estranea al mondo giuridico e di provenienza giornalistica o di cultura psicologica. Difficilmente, difatti, un'assimilazione del genere potrebbe provenire convintamente dagli addetti ai lavori, visto l'inquadramento che il tutore ha nel codice civile, ai sensi dell'art. 357 c.c., che ne descrive le competenze come integralmente sostitutive del tutelato in ogni ambito di scelta, riguardando sia la cura della persona, che la rappresentanza negli atti civili, che l'amministrazione dei beni. Non a caso è investito dell'incarico nei confronti di soggetti giuridicamente incapaci, tipicamente minorenni. Del resto, negli stessi luoghi ove il coordinatore è definito come una sorta di tutore o si mettono le virgolette o si usano in alternativa anche altre dizioni (ad es. "vigilante"), che rendono inequivocabile che ci si sta esprimendo in modo atecnico e non giuridico.

Coordinatore genitoriale: quale inquadramento?

Resta, naturalmente, aperta la necessità di comprendere che natura abbia questa nuova figura, atteso che al suo inquadramento sono strettamente legati poteri e competenze, a loro volta determinanti ai fini dell'autorevolezza di cui può godere nei confronti delle parti.

Accantonate, per gli stessi motivi che valgono per il tutore, le parziali analogie con l'amministratore di sostegno (di cui alla legge 6/2004), appare evidente e innegabile che il coordinatore si muova all'interno delle procedure ADR (Alternative Dispute Resolution) e, in particolare, che buona parte dei suoi compiti e delle modalità operative si collochino nell'ambito della mediazione familiare. Il che suggerisce che anche ai fini della formazione il possesso sicuro di quelle competenze sia essenziale. Si apre, tuttavia, un ulteriore problema. Se, a suo tempo, era potuto accadere che il mediatore familiare, pur guidando le coppie attraverso un percorso da lui stesso liberamente scelto e temporizzato nonché secondo modalità sue proprie, fosse visto come un collaboratore del giudice, a maggior ragione questo inquadramento potrà essere riproposto per il Coordinatore, visto il suo ben più stretto rapporto con la magistratura. Appare opportuno, vista la sensibile distanza di tempo, riproporre gli argomenti a favore di quella tesi (TO Lamezia Terme, Sez. Civile, Ordinanza, R.G. 2413/2007 Giudice: Pres. Dr. Giuseppe Spadaro). In sostanza, dall'art. 337-octies comma II c.c. (allora 155-sexies), si dedurrebbe che al giudicante siano attribuiti nuovi poteri (si veda anche il titolo dell'articolo: "Poteri del giudice"), tra i quali quello di ricorrere a nuove strategie attraverso nuovi soggetti, di fatto ausiliari del giudice. A tal fine si richiama l'art. 68 c.p.c., ai sensi del quale "il giudice … si può fare assistere da esperti in una determinata arte o professione e, in generale, da persona idonea al compimento di atti che non e' in grado di compiere da sé solo". Come si nota, né l'art. 337-octies c.c. né il 68 c.p.c. specificano il tipo di competenze che devono essere possedute. Si parla, del tutto, genericamente, di "esperti" e la loro competenza in "mediazione", certamente presumibile, non è tuttavia accompagnata dall'aggettivo "familiare". Ciò vuol dire che il giudice, per il medesimo fine del contenimento del conflitto e della tutela dei diritti dei figli, può avvalersi di varie figure, non predeterminate, e senza introdurre nuove professionalità, ma utilizzando diversamente competenze preesistenti. Infatti, si afferma: "la mediazione non emerge come "soggetto" (i mediatori tentano una composizione) ma come oggetto (gli esperti tentano una mediazione)".

Il che dà ulteriormente spazio ad interpretazioni estensive. Inoltre, si sottolinea quanto sia stretto e indispensabile il rapporto con il giudice, visto che l'accordo eventualmente raggiunto non diventa operativo che dopo la verifica e il filtro del magistrato (condicio juris). Ora, è ben vero che questa tesi non è stata accolta dagli addetti ai lavori, per cui l'esperimento di Lamezia Terme, benché accompagnato da ottimi risultati, è cessato al momento del trasferimento del giudice che lo aveva promosso; tuttavia, come sopra accennato, buona parte delle considerazioni svolte per il mediatore sembrano adattarsi anche meglio per il coordinatore genitoriale, pur essendo certamente non sovrapponibili figure e ruoli.

Coordinatore come figura di Adr? Parola al legislatore

Anche se la mediazione familiare tradizionale - verso la quale le istituzioni indirizzano sistematicamente le coppie genitoriali (si pensi anche alla negoziazione assistita che obbliga l'avvocato a informare le parti sui percorsi di mediazione) - non è disponibile per i casi di elevata e cronica litigiosità, si potrebbe pensare il coordinatore come una figura di ADR, quale è anche il mediatore, alla quale sono attribuite non solo competenze e attività di tipo mediativo, ma anche la funzione di gestione del conflitto (con l'obiettivo di riduzione del danno anche laddove i conflitti non sono risolvibili), la funzione di gestione del caso e la funzione decisionale (su questioni minori). Mediazione e coordinazione, tuttavia, si differenziano nettamente. Indubbiamente è comune l'attenzione per i figli esposti al conflitto e lo sforzo di restituire ai genitori la capacità di intestarsi in prima persona le responsabilità genitoriali. Tuttavia, i due processi hanno ambiti ben separati: mentre il mediatore opera essenzialmente nella fase della formazione degli accordi, il coordinatore è chiamato tipicamente a seguire e sostenere la coppia nella fase di esecuzione del programma stabilito, quale che ne sia la fonte, giudiziale o concordata. Si è, pertanto, in presenza di campi di azione complementari e di competenze ed esperienze che certamente reciprocamente si aiutano, pur non essendo alcuna esaustiva.

Resta il fatto che nella fluida situazione attuale per avere un chiarimento attendibile su funzioni, obiettivi e formazione di questa nuova figura di ADR - in modo da limitare una proliferazione di corsi tra loro altamente difformi, che tutti pure si dichiarano formativi alla Coordinazione Genitoriale - appare auspicabile l'intervento del legislatore, in attesa del quale è consigliabile una stretta adesione alle linee-guida internazionali di AFCC (Association of Family and Conciliation Courts).

* Specialista in psicologa clinica, psicoterapeuta, mediatrice familiare, coordinatrice genitoriale, albo dei CTU del Tribunale di Brescia - www.psicologiepiccinelli.it


Foto: 123rf.com
In evidenza oggi: