Per Cassa Forense, la colpa non è solo della crisi e del sovrannumero, ma anche delle grandi assicurazioni che non pagano i legali come dovrebbero

di Marina Crisafi - "C'è crisi, c'è grossa crisi" diceva Corrado Guzzanti nei panni del profeta Quelo nel Pippo Chennedy Show. Una crisi che colpisce chiunque e che, negli ultimi anni, ha intaccato la categoria degli avvocati aumentando il numero di coloro che abbandonano l'attività e meritandosi l'appellativo di "nuovi poveri".

Sono almeno ottomila quelli che nel 2015 hanno dismesso la toga, non rinnovando l'iscrizione alla Cassa Forense, spiega all'Agi, il presidente dell'ente Nunzio Luciano. E se a qualcuno il numero può sembrare esiguo, contro i 240mila professionisti del foro esistenti in Italia, gli altri non stanno certo meglio. Certo negli 8mila in fuga "sono comprese molte persone che hanno sempre avuto un altro impiego principale - ma - resta il fatto che la cifra è elevatissima" e il futuro non è certo roseo, perché sono "oltre 80mila gli avvocati che hanno un reddito da fame" continua Luciano.

Tra i più colpiti ci sono i giovani professionisti e le donne, con redditi dimezzati rispetto ai colleghi uomini, ma a soffrire iniziano anche le fasce intermedie, soprattutto se non specializzate.

Di chi è la colpa? La crisi certo gioca la sua parte, "i contenziosi hanno costi altissimi - spiega ancora il presidente e trascinare qualcuno in tribunale è ormai un lusso. Ma i fattori sono anche altri: "l'avvocato d'ufficio - ad esempio - viene pagato pochissimo", per non parlare degli anni che servono per essere pagati. Tuttavia, a detta di Luciano, un altro problema è rappresentato dalle "grandi assicurazioni che non retribuiscono il legale in base a parametri di minimo perché non esistono più. La retribuzione è ridotta all'osso a scapito della qualità".


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