La L. n. 56/2014, cd. Legge Delrio, ha introdotto nel nostro ordinamento delle novità rilevanti in tema di Province, in linea con quanto in precedenza aveva tentato di compiere il governo Monti
Prof. Luigino Sergio - La L. n. 56/2014[1], cd. Legge Delrio, ha introdotto nel nostro ordinamento delle novità rilevanti in tema di Province, in linea con quanto in precedente aveva tentato di compiere il governo Monti.

La riforma delle province

L'azione riformatrice in atto nel nostro Paese che coinvolge i vari livelli istituzionali, centrali e periferici è la conseguenza della drammatica situazione economico-finanziaria nella quale si è costretti ad operare; coinvolgimento che include anche e soprattutto il comparto degli enti locali, Province e Comuni in testa, che non sfugge all'azione del riordino dei conti in senso lato, della c.d. spending review, sostanzialmente già presente nel panorama politico-economico dal 2007 nel libro verde sulla spesa pubblica, predisposto Commissione tecnica per la finanza pubblica, con il fine di mettere a disposizione principalmente un quadro esaustivo della dinamica della spesa pubblica e offrire alcuni tentativi di governarla.

È del tutto evidente che le risorse finanziarie a nostra disposizione sono sempre più scarse; questione che impone a tutti di razionalizzare la spesa pubblica, eliminare gli sprechi, correggere fenomeni di malcostume, ridurre i costi della politica, riordinare gli uffici pubblici in chiave territoriale, ad abbandonare i programmi ed i progetti ormai superati.

«La spending review si offre come uno strumento di moderna programmazione delle finanze pubbliche che si è rilevato estremamente utile in altri Paesi. Essa fornisce una metodologia sistematica ancorché differenziata nelle esperienze dei diversi Paesi, per migliorare il processo di decisione delle priorità, di allocazione delle risorse e la performance delle amministrazioni pubbliche in termini di qualità ed efficienza dei servizi offerti […] nelle esperienze internazionali lo strumento è stato ed è utilizzato sia per far fronte a situazioni di stress dei conti pubblici - e quindi per attuare contenimenti della spesa razionali (superando l'approccio dei tagli generalizzati), sia, e sempre di più, nei Paesi con una più solida situazione di finanza pubblica, allo scopo di migliorare l'efficienza allocativa delle risorse a disposizione e la qualità dei servizi della Pubblica Amministrazione […] la spending review rappresenta la metodologia da utilizzare per superare alcuni degli aspetti negativi degli strumenti di contenimento della spesa utilizzati in passato (come i "tagli lineari"), per assicurare che i risparmi di spesa siano consapevoli e mirati, e che non portino ad un peggioramento della qualità dei servizi offerti dalla Pubblica amministrazione[2].

Ciò detto è sotto gli occhi di tutti noi il risultato del coacervo tra mancanza di risorse finanziarie e sfrenata voglia riformatrice del sistema istituzionale provinciale; Province svuotate di gran parte delle loro funzioni e conseguente grande confusione operante sul territorio, con grave nocumento sul versante dell'erogazione di servizi a favore del cittadino.

La vexata quaestio della soppressione delle Province

Il 1970 è l'anno in cui si dava l'avvio politico al sistema regionale, attraverso la L. n. 281/1970[3], che emanava provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario.

È però già nel periodo antecedente al 1970 che s'infervora il dibattito sull'utilità o meno delle Province, enti ritenuti aventi natura artificiale, finché con la nascita delle Regioni si consolida l'esigenza del superamento dell'ambito istituzionale provinciale.

Sono in molti (e tra questi chi scrive) a ritenere che l'assetto istituzionale del nostro non sia immodificabile.

È infatti impensabile che l'assetto costituzionale ed istituzionale del nostro Paese rimanga cristallizzato sine die; cambiano infatti le esigenze, muta il contesto storico di riferimento e s'impongono di conseguenza nuovi modelli organizzativi.

Ciò avviene non solo in Italia, ma si verifica anche a livello europeo; basta pensare a ciò che è accaduto in Germania a seguito della caduta del muro di Berlino nel 1989; fatto che muta non solo lo scenario della Germania, direttamente interessata dall'evento, ma cambia anche la faccia dell'Europa, determinando la fine del bipolarismo tra Oriente ed Occidente.

L'unificazione della Germania dell'Est con quella dell'Ovest non comporta solo l'unità due porzioni di territorio, ma implica un difficile percorso d'integrazione tra i sistemi economici dei due Paesi; riguarda la privatizzazione delle imprese tedesco-orientali, la conversione del marco orientale con il marco occidentale, la revisione dei diritti di proprietà, un massiccio finanziamento pubblico verso l'Est, una forte migrazione dalle Regioni orientali verso quelle occidentali.

Dunque a mutate situazioni storico-economico-politiche è necessario far fronte con nuovi modelli organizzativi che possono toccare consolidate esperienze istituzionali, come sta avvenendo in Italia con le Province.

Ciò però che è mancato (e che continua a mancare) è una visione riformatrice organica dell'assetto delle istituzioni territoriali da parte del Governo e del Parlamento; ciò nonostante si sono attuati un complesso d'interventi, giustificati, soprattutto, dal necessario contenimento della spesa pubblica improduttiva che è stata il primus movens dell'attività di cambiamento auspicata da molti settori della politica e del mondo imprenditoriale.

Dal punto di vista della scienza dell'organizzazione è assai azzardato procedere senza avere chiara la propria vision e mission;[4] muoversi senza porsi l'obiettivo di un radicale ripensamento del sistema del governo locale e incamminarsi sulla strada dell'intervento episodico che pone al centro della riflessione politica in primis la questione dei tagli ai costi delle pp.aa. e solo sulla base di essi ci si barcamena in un'azione riformatrice "a spizzico", rifuggendo dalla necessaria "visione olistica" delle cose.[5]

Ciò detto e aspettando che arrivi il tempo in cui si possa varare una riforma organica delle autonomie locali territoriali, viene intaccato l'anello forse più debole del sistema locale ovvero le Province, ritenute sinonimo di spreco e di conseguenza coinvolte in un balletto estenuante, fatto di proposte di loro ridimensionamento, soppressione di quelle aventi dimensioni ridotte, svuotamento delle loro funzioni originarie, loro soppressione totale.

La riduzione dei costi degli apparati istituzionali nel d.l. n. 138/2011

In questa cornice di riferimento, il governo emana il d. l. n. 138/2011[6], contenente misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, il quale al Titolo IV, Riduzione dei costi degli apparati istituzionali, prevede all'art. 15, rubricato Dimezzamento dei consiglieri e assessori provinciali che: «1. In attesa della complessiva revisione della disciplina costituzionale del livello di governo provinciale, a decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono soppresse le Province diverse da quelle la cui popolazione rilevata al censimento generale della popolazione del 2011 sia superiore a 300.000 abitanti o la cui superficie complessiva sia superiore a 3.000 chilometri quadrati.

2. Entro il termine fissato al comma 1 per la soppressione delle Province, i Comuni del territorio della circoscrizione delle Province soppresse esercitano l'iniziativa di cui all'articolo 133 della Costituzione al fine di essere aggregati ad un'altra Provincia all'interno del territorio regionale, nel rispetto del principio di continuità territoriale.

3. In assenza di tale iniziativa entro il termine di cui al comma 1 ovvero nel caso in cui entro il medesimo termine non sia ancora entrata in vigore la legge statale di revisione delle circoscrizioni provinciali, le funzioni esercitate dalle Province soppresse sono trasferite alle Regioni, che possono attribuirle, anche in parte, ai Comuni già facenti parte delle circoscrizioni delle Province soppresse oppure attribuirle alle Province limitrofe a quelle soppresse, delimitando l'area di competenza di ciascuna di queste ultime. In tal caso, con decreto del Ministro dell'interno, sono trasferiti alla Regione personale, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie adeguati.

4. Non possono, in ogni caso, essere istituite Province in Regioni con popolazione inferiore a 500.000 abitanti.

5. A decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle Province successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, il numero dei consiglieri provinciali e degli assessori provinciali previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto è ridotto della metà, con arrotondamento all'unità superiore.

6. La soppressione delle Province di cui al comma 1 determina la soppressione degli uffici territoriali del governo aventi sede nelle Province soppresse; con decreto del Ministro dell'interno sono stabilite le modalità di attuazione del presente comma.

7. Fermo quanto previsto dal comma 6, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, si procede alla revisione delle strutture periferiche delle amministrazioni pubbliche presenti nelle province soppresse».

Dunque con l'art. 15 del d. l. n. 138/2011 si delinea chiaramente la visione riformatrice parcellare e di corto respiro dell'esecutivo poiché viene emanato un decreto d'urgenza di soppressione delle Province diverse da quelle la cui popolazione rilevata al censimento generale della popolazione del 2011 sia superiore a 300.000 abitanti o la cui superficie complessiva sia superiore a 3.000 chilometri quadrati «in attesa della complessiva revisione della disciplina costituzionale del livello di governo provinciale».

Lascia il tempo che trova l'emanazione di un provvedimento legislativo urgente, in attesa che venga approvato un altro, evidentemente meno urgente, assai più ponderato rispetto al primo che revisiona interamente dal punto di vista della Costituzione l'intero sistema del livello di governo provinciale.

Aderendo al dettato dell'art. 133, comma 1, Cost., il quale prevede che: «il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Provincie nell'ambito d'una Regione sono stabiliti con legge della Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione» il d. l. n. 138/2011 conferma la centralità dei Comuni, al fine di essere aggregati ad un'altra Provincia all'interno del territorio regionale e nel rispetto del principio di continuità territoriale, poiché compete sempre ad essi (e non poteva essere altrimenti) «l'iniziativa di cui all'articolo 133 della Costituzione»; ma l'aspetto paradossale del provvedimento in esame deriva dal fatto che qualora i Comuni non si attivassero a decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto al fine di essere aggregati ad un'altra Provincia «le funzioni esercitate dalle Province soppresse sono trasferite alle Regioni, che possono attribuirle, anche in parte, ai Comuni già facenti parte delle circoscrizioni delle Province soppresse oppure attribuirle alle Province limitrofe a quelle soppresse, delimitando l'area di competenza di ciascuna di queste ultime», trasferendo alla Regione personale, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie adeguati.

La singolarità della procedura prevista comportava in specifici casi, in caso d'assenza dell'esercizio dell'iniziativa dei Comuni, la scomparsa del livello istituzionale provinciale e l'anomala situazione d'esercizio delle funzioni provinciali, dunque d'area vasta, da parte dei Comuni (che però non sono enti d'area vasta), a seguito del loro trasferimento da parte della Regione, con l'inevitabile pastrocchio istituzionale che avrebbe determinato all'interno di un'unica cornice statuale la presenza di territori che prevedevano l'esistenza della Provincia e di altri che registravano l'assenza della stessa e dunque la possibilità che vi fossero Comuni avulsi da ogni ripartizione provinciale.

Un altro elemento "originale" è rappresentato dal fatto che la procedura prevista per la revisione delle circoscrizioni provinciali dal d. l. n. 138/2011 fosse sostanzialmente differente da quella disposta dall'art. 133 Cost., il quale stabilisce che l'iniziativa dei Comuni concerne l'eventuale modificazione dell'assetto circoscrizionale o l'istituzione di nuove Province; a differenza di quanto disposto dal d. l. n.138/2011, il quale prevede che i Comuni possono assumere l'iniziativa finalizzata alla scelta per una differente Provincia alla quale essere associati, facendo parte di Province delle quali già si dà come attuata la loro soppressione.

Il d. l. n. 138/2011 consentiva che con legge ordinaria fossero espunte dall'ordinamento le Province, nonostante esse siano tutt'ora previste dalla Costituzione nel Titolo V (v. artt. 114, 117, 118, 119, 120, 132, 133 Cost.), eludendo in questo modo quanto disposto dall'art. 138 Cost., il quale disciplina la procedura di revisione della Costituzione prevedendo che: «le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione»; e disponendo che le leggi di revisione della Costituzione possano essere sottoposte referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali, non potendosi dar luogo a referendum nel caso che la legge sia stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

Il forte dubbio di costituzionalità di buona parte del d. l. n. 138/2011 ha comportato che la legge di conversione dello stesso decreto (L. 14 settembre 2011, n. 148) abbia eliminato ogni riferimento relativo alla soppressione delle Province ed indotto il Governo al varo di un disegno di legge costituzionale, rivolto alla modificazione degli artt. 114, 117, 118, 119, 120, 132, 133 Cost., cancellando in questo modo la parola Provincia dalla nostra Costituzione.

Il d. l. n. 201/2011 e la riduzione dei costi di funzionamento delle Province

Il Governo Monti modifica ulteriormente la normativa in tema di Province con il d. l. n. 201/2011[7] che con l'obiettivo di apportare la riduzioni dei costi di funzionamento delle Province prevede un nuovo assetto delle stesse, alle quali sono conferite «esclusivamente […] funzioni d'indirizzo politico e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze».

L'art. 23, commi 14-20, prevede l'eliminazione della Giunta provinciale dagli organi dell'ente e dispone che sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia che durano in carica cinque anni.

Il Presidente della Provincia è eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti, secondo le modalità stabilite dalla legge statale, ritornando in questo modo all'antico ovvero alla L. n. 122 dell'8 marzo 1951[8], la quale all'art. 5, disponeva che: «l'elezione del Presidente della Giunta provinciale ha luogo a scrutinio segreto con l'intervento di almeno due terzi dei consiglieri assegnati alla Provincia ed a maggioranza assoluta di voti» e facendo così tornare indietro nel tempo la modalità elettiva del Presidente della Provincia, la quale ai sensi della L. n. 81/1993[9] prevedeva l'elezione diretta dello stesso, al fine del suo rafforzamento politico e dell'accresciuta stabilità delle amministrazioni locali territoriali, in linea con quanto stabilito successivamente dall'art. 74 del d. lgs. n. 267/2000.

Lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, assieme al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

La titolarità di qualsiasi carica, ufficio o organo di natura elettiva di un ente territoriale non previsto dalla Costituzione è a titolo esclusivamente onorifico e non può essere fonte di alcuna forma di remunerazione, indennità o gettone di presenza.

La revisione della spesa pubblica e il riordino delle Province nel d. l. n. 95/2012

Il d. l. n. 95/2012[10] tratta nell'art. 17 il riordino delle Province e loro funzioni e nell'art. 18 la soppressione delle Province del territorio dove è stata istituita la Città metropolitana.

Tale riordino appare necessario per contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio; ragion per cui tutte le Province delle Regioni a statuto ordinario esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto sono oggetto di riordino territoriale.

Il Consiglio dei Ministri determina, con apposita deliberazione, il riordino delle Province sulla base di requisiti minimi, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna Provincia fatte salve le Province nel cui territorio si trova il Comune capoluogo di Regione e le Province confinanti solo con Province di regioni diverse da quella di appartenenza e con una delle Province di cui all'articolo 18, comma 1[11].

Ciascuna Regione trasmette al Governo una proposta di riordino delle Province ubicate nel proprio territorio, formulata sulla base delle proposte avanzate dal Consiglio delle autonomie locali di ogni Regione a statuto ordinario o, in mancanza, dall'organo regionale di raccordo tra Regioni ed enti locali.

Le ipotesi e le proposte di riordino tengono conto delle eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti; resta fermo che il riordino deve essere effettuato nel rispetto dei requisiti minimi previsti, determinati sulla base dei dati di dimensione territoriali e di popolazione, come esistenti alla data di adozione della deliberazione approvata dal Consiglio dei Ministri.

Entro il 31 dicembre 2013, con atto legislativo di iniziativa governativa le Province sono riordinate sulla base delle proposte regionali.

Con il d. l. n. 95/2012 le Province diventano enti «enti con funzioni di area vasta, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione».

Con l'art. 18, le Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria sono soppresse, con contestuale istituzione delle relative città metropolitane e si dispone altresì che il territorio della Città metropolitana coincide con quello della Provincia contestualmente soppressa, fermo restando il potere dei Comuni interessati di deliberare, con atto del Consiglio, l'adesione alla Città metropolitana o, in alternativa, a una Provincia limitrofa ai sensi dell'articolo 133, primo comma, della Costituzione.

La determinazione dei criteri per il riordino delle Province

La determinazione dei criteri per il riordino delle Province, a norma dell'articolo 17, comma 2, del d. l. n. 95/2012 è emanata dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dell'interno, il 20 luglio 2012 (in G.U. n. 171 del 24 luglio 2012).

Tale deliberazione nel reiterare quanto disposto dal d. l. n. 95/2012 ovvero che «tutte le Province delle Regioni a statuto ordinario esistenti alla data di adozione della presente delibera sono oggetto di riordino», prevede due requisiti minimi che le Province debbono possedere, pena il assoggettamento alla disciplina del riordino territoriale:

- dimensione territoriale non inferiore a duemilacinquecento chilometri quadrati;

- popolazione residente non inferiore a trecentocinquantamila abitanti.

Le nuove Province risultanti dalla procedura di riordino devono possedere entrambi i requisiti; la proposta di riordino delle Province tiene conto delle eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti alla data di adozione della presente delibera, fermo restando che il riordino deve essere deliberato sulla base dei dati di dimensione territoriale e di popolazione come esistenti alla medesima data di adozione della presente delibera.

Il riordino non può comportare l'accorpamento di una o più Province esistenti alla data di adozione della presente delibera con le Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria che sono soppresse con contestuale istituzione delle relative Città metropolitane.

In esito al riordino assume il ruolo di Comune capoluogo delle singole Province il Comune già capoluogo delle Province oggetto di riordino con maggior popolazione residente.

Il d. l. n. 201/2011 e la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 produsse all'interno dei territori provinciali interessati dal riordino territoriale ed istituzionale delle Province esistenti accesi dibattiti tra le forze politiche; ma anche tra quelle sindacali ed imprenditoriali, tutte interessate a dare il loro contributo, finalizzato a consegnare alle comunità di riferimento territori sempre più competitivi, in funzione della loro aumentata grandezza demografica e territoriale che poteva significare, altresì, anche maggiore peso politico, traducibile in un aumento della possibilità attrattiva di finanziamenti pubblici, necessari alla crescita complessiva del territorio.

Il giudizio di legittimità costituzionale in via principale: la sentenza n. 200/2001

La Corte Costituzionale nel 2013 ha pronunciato la sentenza n. 220[12] nei giudizi di legittimità costituzionale dell'articolo 23, commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20-bis, 21 e 22 del d. l. 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, promossi dalle Regioni Piemonte, Lombardia, Veneto, Molise, dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, dalle Regioni Lazio e Campania e dalle Regioni autonome Sardegna e Friuli-Venezia Giulia e degli articoli 17 e 18 del d. l. 6 luglio 2012, n. 95, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, promossi dalle Regioni Molise, Lazio, Veneto, Campania, Lombardia, dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna e dalle Regioni Piemonte e Calabria.

Riferendoci all'esempio della Regione Piemonte, essa «individua l'oggetto della normativa impugnata nella «abolizione delle Province», cioè in una compressione funzionale e strutturale delle Province stesse così intensa da annullarne, in sostanza, il ruolo costituzionalmente assegnato. Il ricorso sarebbe legittimato dalla diretta lesione delle prerogative regionali, ma anche dal vulnus recato alle attribuzioni provinciali, che le Regioni sarebbero ammesse a denunciare quando si risolva in una indebita compressione dei poteri loro conferiti dalla Costituzione.

È impugnato anzitutto il comma 14 dell'art. 23 del d. l. n. 201/2011, che assegna alle Province «esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze» e sono impugnate le norme che fondano la nuova disciplina degli organi provinciali: il comma 15, che individua gli organi di governo nel Consiglio provinciale e nel Presidente della Provincia, con durata della carica pari per entrambi a cinque anni; il comma 16, che fissa nel numero massimo di dieci i componenti del Consiglio, da eleggere a cura degli organi elettivi dei Comuni insediati nel territorio di pertinenza, secondo modalità da fissare con legge dello Stato; il comma 17, che regola l'elezione del Presidente ad opera dei componenti del Consiglio provinciale, sempre in applicazione di legge statale da approvarsi ad hoc.

Le norme censurate violerebbero in primo luogo l'art. 5 Cost., applicando una logica inversa a quella del decentramento e dell'autonomia, con diretta lesione delle prerogative regionali e vanificherebbero il riconoscimento delle Province come enti costitutivi della Repubblica, dotati di autonomia e funzioni proprie, secondo il disposto dell'art. 114 Cost; tutto questo in ragione, tra l'altro, dell'eliminazione del principale organo di governo (la Giunta) e della stessa funzione di governo, ridotta a compito di coordinamento dell'attività comunale, ed accompagnata dalla spoliazione delle funzioni amministrative provinciali e delle relative risorse. Inoltre, il decreto governativo - volto a realizzare una vera e propria riforma istituzionale mediante la legislazione sulla spesa - avrebbe privato Regioni e Province di ogni autonomia decisionale riguardo al relativo percorso di modificazione legislativa, «in aperta violazione del secondo comma dell'art. 114 Cost»[13].

Da ultimo, la Regione Piemonte denunzia la violazione del principio di leale collaborazione, in rapporto all'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Il comma 18 dell'art. 23 del d. l. n. 201 del 2011, infatti, regolerebbe l'intervento sostitutivo dello Stato in radicale contrasto con i principi fissati dalla citata legge n. 131 del 2003 per l'attuazione di quanto disposto nel testo novellato dell'art. 120 Cost. e comunque senza prevedere alcuna forma di concertazione fra Stato, Regioni ed enti locali; una concertazione che sarebbe stata tanto più necessaria considerando l'incidenza della riforma sull'autonomia finanziaria regionale.

Il nucleo principale delle questioni promosse riguarda la normativa recante la cosiddetta riforma delle Province. Si tratta, in particolare, dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20 e 20-bis, del d. l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, e degli artt. 17 e 18 del d. l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 135 del 2012.

Nei casi oggetto dei presenti giudizi, risulta evidente che le norme censurate incidono notevolmente sulle attribuzioni delle Province, sui modi di elezione degli amministratori, sulla composizione degli organi di governo e sui rapporti dei predetti enti con i Comuni e con le stesse Regioni. Si tratta di una riforma complessiva di una parte del sistema delle autonomie locali, destinata a ripercuotersi sull'intero assetto degli enti esponenziali delle comunità territoriali, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione.

Le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20 del d. l. n. 201 del 2011, e degli artt. 17 e 18 del d. l. n. 95 del 2012, promosse dalle ricorrenti per violazione dell'art. 77 Cost., sono fondate.

Si ricava una prima conseguenza sul piano della legittimità costituzionale: ben potrebbe essere adottata la decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi di governo, secondo valutazioni di opportunità politica del Governo sottoposte al vaglio successivo del Parlamento. Si ricava altresì, in senso contrario, che la trasformazione per decreto-legge dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell'intero sistema, su cui da tempo è aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessità, da un «caso straordinario di necessità e d'urgenza».

« […] Esiste una incompatibilità logica e giuridica […] tra il decreto-legge, che presuppone che si verifichino casi straordinari di necessità e urgenza e la necessaria iniziativa dei Comuni […] se non altro perché l'iniziativa non può che essere frutto di una maturazione e di una concertazione tra enti non suscettibile di assumere la veste della straordinarietà, ma piuttosto quella dell'esercizio ordinario di una facoltà prevista dalla Costituzione, in relazione a bisogni e interessi già manifestatisi nelle popolazioni locali.

Per tutti questi motivi la Corte Costituzionale, riuniti i giudizi «1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20, del d. l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011;

2) dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 17 e 18 del d. l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 135 del 2012;

3) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, comma 20-bis, del d. l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011;

4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 21, del d. l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promosse - in riferimento agli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118, 119 e 120 Cost. e ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione, nonché all'art. 3, primo comma, lettere a) e b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) - dalle Regioni Piemonte e Molise e dalla Regione autonoma Sardegna con i ricorsi indicati in epigrafe […].

Di conseguenza il Governo mette da parte l'idea di riformare il sistema delle Province attraverso le legislazione ordinaria (e la decretazione d'urgenza), indirizzandosi ad agire in questa direzione attraverso un disegno di legge costituzionale, teso a modificare gli artt. 114, 117, 118, 119, 120, 132, 133 della Costituzione».

Il ddl costituzionale del 2013 e l'abolizione delle Province nel ddl costituzionale A.S. n. 1429 dell'8 agosto 2014

Nella riunione del Consiglio dei Ministri del 5 luglio 2013, il Governo ha approvato il disegno di legge costituzionale "Abolizione delle Province", a seguito del Comunicato del 3 luglio 2013 della Corte Costituzionale con il quale è stata annunciata la sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214 e degli articoli 17 e 18 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione dell'art. 77, in relazione agli artt. 117, 2° comma, lett. p) e 133, 1° comma, della Costituzione.

La Corte Costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità delle norme che prevedevano lo svuotamento e il riordino delle Province, «in quanto il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio».

Nella motivazione della sua decisione, il 19 luglio, la Corte Costituzionale ha infatti affermato alcuni punti sostanziali importanti a tutela delle prerogative costituzionali delle Province.

La sentenza pone una barriera contro l'utilizzo della decretazione d'urgenza sulle tematiche che toccano l'ordinamento delle Province (e delle altre istituzioni territoriali) che hanno garanzie costituzionali a difesa della loro autonomia, poiché il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema delle istituzioni costitutive della Repubblica.

Le materie dell'articolo 117, comma 2, lettera p) - organi di governo, sistema elettorale e funzioni fondamentali - presuppongono interventi compiuti e di sistema da parte del legislatore sia quanto agisca per via ordinaria, sia quando proceda ad una revisione costituzionale: per questo motivo sono incostituzionali le norme di cui all'art. 23, commi 14-20-bis, del decreto-legge n. 201/2011; come sono incostituzionali le norme di cui agli articoli 17 e 18 del decreto n. 95/2012 poiché la modifica delle circoscrizioni provinciali prevede una procedura rinforzata basata sull'iniziativa dei Comuni in base all'art. 133 della Costituzione che è del tutto incompatibile con l'imposizione posta in essere da un decreto legge, mentre può essere esperita la strada per una legge delega di revisione delle circoscrizioni provinciali.

La scelta del Governo è, altresì, contraddittoria, in quanto il Parlamento ha approvato specifiche "mozioni", lo scorso 29 maggio 2013, in cui ha richiesto al Governo di avviare un percorso complessivo di riforme costituzionali. La richiesta è stata accolta dal Governo attraverso il Disegno di legge costituzionale "Istituzione di un Comitato parlamentare per le riforme costituzionali".

Com'è noto, il Disegno di legge Costituzionale AC 1359, prevede che tutte le proposte di modifica costituzionale, comprese quelle del titolo V, parte II, della Costituzione, rientrino nella competenza di questo Comitato e debbano essere ad esso assegnate; di conseguenza sarebbe incoerente e palesemente in contrasto con la riserva di procedura per la revisione costituzionale introdotta da questo disegno di legge un percorso che vale solo per l'abolizione delle Province dalla Costituzione.

La scelta è anche in contrasto con quanto già intrapreso il 4 giugno dal Governo attraverso la nomina degli esperti componenti della Commissione per le riforme costituzionali, che ha già cominciato ad istruire il tema delle Province, all'interno della discussone sulla riforma del titolo V, parte II, della Costituzione.

Il 20 agosto 2013 è stato presentato alla Camera dei Deputati il Disegno di legge costituzionale n. 1543, Abolizione delle Province, su iniziativa del Governo Letta, con il quale esso ha ritenuto di intervenire tempestivamente per disciplinare l'assetto costituzionale dei livelli di governo della Repubblica, a seguito della recente pronuncia della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune disposizioni, in materia di riordino delle Province, contenute nel decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e nel decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.

Con il Disegno di legge costituzionale n. 1543 si dispone l'abolizione delle Province, con la soppressione della dizione di «Province» nei diversi articoli della Costituzione che attualmente disciplinano questo ente territoriale: le Province, pertanto, non sarebbero più un ente territoriale costituzionalmente necessario.

Questa tecnica normativa consente, all'interno di un quadro generale di riferimento, di prevedere forme flessibili di organizzazione delle funzioni di area vasta esercitate dalle Province.

Tale soluzione è apparsa la più adeguata in un contesto, come il nostro, caratterizzato da una molteplicità di situazioni che potrebbe rendere inefficace e probabilmente nemmeno conveniente anche dal punto di vista economico, una decisione uniforme.

Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, le Province sono soppresse e, sulla base di criteri e requisiti generali definiti con legge dello Stato, sono individuate dallo Stato e dalle Regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, le forme e le modalità di esercizio delle relative funzioni.

L'Unione delle Province d'Italia (UPI) esprime parere negativo sul provvedimento Delrio e al Governo chiede il suo ritiro per affrontare la questione delle riforme istituzionali in modo complessivo.

Si deve osservare che il disegno di legge costituzionale del Governo dispone l'abolizione delle Province, attraverso la soppressione della dizione "Province" da tutti gli articoli della Costituzione che disciplinano questo ente territoriale; di conseguenza le Province non sarebbero più un ente territoriale costituzionalmente necessario.

Occorre innanzitutto verificare se questa scelta sia coerente con i principi fondamentali della Costituzione che - secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 1088/1988) - rappresentano limiti alla revisione costituzionale.

Occorre infatti ribadire che l'art. 5 della Costituzione recita: "La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento".

Ciò vuol dire che i Comuni e le Province sono realtà presupposte di cui la Costituzione prende atto; questo comporta che anche il legislatore in sede di revisione costituzionale (art. 138 Cost.) ha un confine insuperabile nella possibilità di abolizione delle forme precostituite dell'autonomia locale.

Tale limite alla revisione costituzionale riguarda il principio che l'ordinamento delle autonomie locali della Repubblica sia costituito da Comuni e Province; ciò detto, il legislatore può modificare le circoscrizioni degli enti nelle forme previste dall'art. 133 Cost., ma con la riserva che il numero complessivo dei Comuni e delle Province possa assicurare, in modo diffuso nel territorio della Repubblica, l'attuazione dei principi di autonomia, pluralismo e democrazia previsti dalla Costituzione[14].

Anche il Disegno di legge Costituzionale A.S. n. 1429/2014, Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della Parte II della Costituzione tratta l'abolizione delle Province.

Tale Disegno di legge Costituzionale, approvato in prima deliberazione dal Senato in data 8 agosto 2014[15], riguarda la revisione della Parte II della Costituzione, con l'obiettivo di determinare nel nostro Paese «un processo organico di riforma in grado di razionalizzare in modo compiuto il complesso sistema di governo multilivello articolato tra Unione europea, Stato e Autonomie territoriali, entro il quale si dipanano oggi le politiche pubbliche»[16].

Il progetto di revisione costituzionale delineato nel disegno di legge in esame persegue una pluralità di obiettivi e prende le mosse da una duplice esigenza: rafforzare l'efficienza dei processi decisionali e di attuazione delle politiche pubbliche; semplificare e impostare in modo nuovo i rapporti tra i diversi livelli di governo.

Riforma che «lungi dal voler comprimere gli spazi di autonomia degli enti territoriali, intende invece, da una parte, semplificare il sistema, sia confermando l'eliminazione dalla Costituzione del riferimento al livello di governo provinciale, sia riformando in modo radicale i criteri di riparto delle competenze; dall'altra valorizzare, declinandolo in modo nuovo, il pluralismo istituzionale e il principio autonomistico, con l'obiettivo ultimo di incrementare complessivamente il tasso di democraticità del nostro ordinamento».

Si tratta di dare impulso a un processo che garantisca davvero alle autonomie regionali e locali un virtuoso coinvolgimento nel circuito decisionale di livello nazionale, in modo meno conflittuale e più proficuo di quanto sinora accaduto.

A questa logica di fondo risponde la trasformazione del Senato della Repubblica nel Senato delle Autonomie, rappresentativo delle istituzioni territoriali. Esso si configura proprio come quella sede di raccordo tra lo Stato e gli enti territoriali la cui sostanziale assenza nel disegno di riforma del titolo V ha impedito la realizzazione di un sistema di governo multilivello ordinato, efficiente e non animato da dinamiche competitive, in grado di bilanciare interessi nazionali, regionali e locali e di assicurare politiche di programmazione territoriale coordinate con le più ampie scelte strategiche adottate a livello nazionale.

A tale riguardo, la scelta operata dal disegno di legge è quella di superare l'attuale bicameralismo paritario, che non ha eguali nel panorama internazionale, mediante la definizione di un nuovo assetto bicamerale differenziato, nel quale la Camera diviene titolare in via esclusiva del rapporto di fiducia con il Governo, esercitando la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo sull'operato del Governo, mentre il Senato delle Autonomie si caratterizza come un organo rappresentativo delle «Istituzioni territoriali».

Quest'ultimo diviene, dunque, una nuova Camera, dotata di caratteri propri, che concorre alla funzione legislativa -- approvando, insieme alla Camera dei deputati, le leggi costituzionali e deliberando, negli altri casi, proposte di modificazione che in alcuni ambiti possono assumere una particolare forza nel procedimento -- ed esercita l'essenziale funzione di raccordo tra lo Stato e le regioni, le città metropolitane e i comuni, cui si aggiungono ulteriori rilevanti funzioni in materia di attuazione e formazione degli atti normativi dell'Unione europea, di verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato e di valutazione dell'impatto delle politiche pubbliche sul territorio.

La composizione del Senato delle Autonomie è, naturalmente, strettamente correlata con le funzioni ad esso attribuite ed è inscindibilmente connessa con il nuovo assetto della potestà legislativa derivante dalle modifiche proposte nel disegno di legge in tema di revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione.

La scelta di fondo che è stata operata nel disegno di legge è diretta a superare l'attuale assetto, fondato su una rigida ripartizione legislativa per materie, in favore di una regolazione delle potestà legislative ispirata a una più flessibile ripartizione anche per funzioni, superando il riferimento alle materie di legislazione concorrente e alla mera statuizione da parte dello Stato dei princìpi fondamentali entro i quali può dispiegarsi la potestà legislativa regionale e includendo nei criteri di ripartizione delle competenze legislative anche una prospettiva funzionale-teleologica, che riguarda sia lo Stato sia le Regioni.

Il disegno di legge che si compone di 35 articoli che modificano 44 articoli della Costituzione, con l'art. 24 di modifica dell'articolo 114 della Costituzione dispone l'eliminazione delle Province dal novero degli enti di cui si compone la Repubblica[17]; mentre l'articolo 28 novella l'articolo 119 della Costituzione, introducendo modifiche di coordinamento che tengono conto della soppressione delle Province e, in particolare, della riconduzione alla competenza esclusiva dello Stato della materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», secondo le motivazioni sopra illustrate. Inoltre, reca una modifica al quarto comma del medesimo articolo 119, intesa a rafforzare il principio della corrispondenza tra le risorse spettanti agli enti territoriali e le funzioni pubbliche loro attribuite.

In particolare, si prevede che l'insieme delle risorse derivanti dall'autonomia finanziaria regionale e locale -- dunque tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e risorse derivanti dal fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale -- deve «assicurare» il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite ai Comuni, alle Città metropolitane e alle Regioni».

La riforma delle Province nella legge Delrio

La L. n. 56/2014 che reca "Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle Unioni e fusioni di Comuni" è stata approvata definitivamente da parte dell'Assemblea della Camera dei Deputati il 3 aprile 2014 ed è entrata in vigore l'8 aprile 2014.

La disciplina delle Province, definite enti di area vasta, è espressamente qualificata come transitoria, nelle more della riforma costituzionale del Titolo V e delle relative norme di attuazione. Gli organi della Provincia sono: il Presidente della Provincia, il Consiglio provinciale e l'assemblea dei Sindaci; anche in questo caso, tutti gli incarichi sono a titolo gratuito.

Solo a titolo di esempio, il Presidente della Provincia rappresenta l'ente; convoca e presiede il Consiglio provinciale e l'assemblea dei Sindaci; sovrintende al funzionamento degli uffici; attua gli indirizzi generali del Consiglio provinciale; definisce il Piano esecutivo di gestione; nomina i rappresentanti dell'ente negli organismi partecipati o in quelli rispetto ai quali alla Provincia compete il potere di nomina; propone al Consiglio provinciale lo schema di bilancio; esprime il consenso sugli accordi di programma e provvede alla loro approvazione; conferisce l'incarico ai legali esterni all'ente allorquando occorra promuovere e resistere alle liti; ha il potere di transigere riguardo alle controversie concernenti il proprio ente; nomina il segretario generale e il Direttore Generale; sottoscrive la relazione d'inizio e di fine mandato.

Il Presidente viene eletto dai Sindaci e dai consiglieri dei Comuni della Provincia; sono eleggibili a Presidente della Provincia i Sindaci della Provincia il cui mandato scada non prima di 18 mesi dalla data delle elezioni. Il Presidente rimane in carica per quattro anni, ma decade automatica in caso di cessazione dalla carica di Sindaco. L'elezione avviene sulla base di candidature sottoscritte da almeno il 15 per cento degli aventi diritto al voto; ogni elettore vota per un solo candidato ed il voto è ponderato, nel senso che ha un peso maggiore nei Comuni demograficamente più grandi. È eletto il candidato che consegue il maggior numero di voti, sulla base del predetto voto ponderato.

Il Consiglio provinciale è composto dal Presidente della Provincia e da un numero di consiglieri che varia a seconda della popolazione complessiva della Provincia interessata (da 16 a 10 consiglieri provinciali). Ha compiti di indirizzo e controllo, approva regolamenti, piani, programmi e approva o adotta ogni altro atto ad esso sottoposto dal Presidente della Provincia; ha potere di proposta dello statuto e poteri per l'approvazione del bilancio. Il Consiglio provinciale è organo elettivo di secondo grado e dura in carica due anni; hanno diritto di elettorato attivo e passivo i Sindaci e i Consiglieri dei Comuni della provincia. Anche per la carica di consigliere provinciale è prevista la decadenza qualora vi sia la cessazione dalla carica di consigliere comunale. Il voto anche in questo caso è ponderato. Nel caso della presentazione delle liste, esse sono sottoscritte da almeno il 5 per cento degli aventi diritto al voto. La lista è composta da un numero di candidati non superiore al numero di consiglieri da eleggere né inferiore alla metà, mentre il voto è però attribuito solo ai singoli candidati. Viene dunque stilata una sola graduatoria e sono eletti i candidati che ottengono il maggior numero di voti, sempre secondo il sistema del voto ponderato.

L'assemblea dei Sindaci è composta dai Sindaci dei Comuni della provincia, è competente per l'adozione dello statuto e ha potere consultivo per l'approvazione dei bilanci, mentre lo statuto può attribuire ad essa ulteriori poteri propositivi, consultivi e di controllo.

Il provvedimento individua le funzioni fondamentali delle Province: a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali c) programmazione provinciale della rete scolastica d) raccolta ed elaborazione dati ed assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; e) gestione dell'edilizia scolastica; f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale.

Viene inoltre tracciata un'articolata procedura per il riordino delle funzioni attualmente esercitate dalle Province, cui lo Stato e le Regioni provvedono sulla base dei seguenti principi: individuazione per ogni funzione dell'ambito territoriale ottimale di esercizio; efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei Comuni; sussistenza di riconosciute esigenze unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio mediante intesa o Convenzione.

Norme specifiche riguardano le Province montane, alle quali le Regioni riconoscono, nelle materie di loro competenza, forme particolari di autonomia.

In sede di prima applicazione, l'elezione del nuovo Consiglio provinciale avverrà: entro il 30 settembre 2014 per le Province i cui organi scadono per fine mandato nel 2014.

Nella prima fase, il nuovo Consiglio ha il compito di preparare le modifiche statutarie previste dalla riforma, che dovranno essere approvate dall'assemblea dei Sindaci, entro il successivo 31 dicembre 2014.

Entro la stessa data, si procede alla elezione del Presidente della Provincia secondo le nuove regole; fino all'insediamento di quest'ultimo e, in ogni caso, non oltre il 31 dicembre 2014, restano in carica il Presidente della Provincia in carica alla data di entrata in vigore della legge oppure - qualora si tratti di provincia commissariata - il commissario, nonché la Giunta provinciale per l'ordinaria amministrazione e per gli atti indifferibili ed urgenti; entro trenta giorni dalla scadenza per fine mandato o dalla decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali, nel caso tali eventi si verifichino dal 2015 in poi. L'assemblea dei Sindaci ha sei mesi di tempo a partire dall'insediamento del Consiglio provinciale per approvare le modifiche statutarie necessarie.

In sede di prima costituzione degli organi, sono eleggibili anche i consiglieri provinciali uscenti.

Riguardo ai rapporti tra Presidente della Provincia e Consiglio provinciale, la nota n. 1/2014 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ad oggetto: Legge 7 aprile 2014, n. 56. Chiarimenti in merito a talune problematiche sule funzioni dei nuovi organi[18], a firma del Ministro LANZETTA, prevede che il Presidente della Provincia non è tenuto dalla L. n. 56/2014 a presentare il proprio programma al Consiglio, fermo restando che nulla impedisce di esporre allo stesso le linee programmatiche; spetta però l'obbligo di presentare la relazione di inizio mandato, ai sensi dell'art. 4-bis del d. lgs. n. 149/2011; obbligo che scatta dalla data d'insediamento del Consiglio provinciale che avviene nella prima seduta convocata dal Presidente della Provincia; predisposizione che è di competenza degli uffici e in particolare del segretario generale.

Si ritiene inoltre che il giuramento da parte del Presidente della Provincia non sia necessario qualora il Presidente rivesta l'incarico di Sindaco e dunque in tale veste ha già prestato giuramento; mentre occorre procedere al giuramento nel caso, previsto dal comma 80, di elezione a Presidente della Provincia di un consigliere provinciale uscente.

Riguardo infine all'applicabilità alla Provincia delle norme contenute nel TUEL che non siano state esplicitamente abrogate dalla L. n. 56/2014, si fa presente che ai sensi del comma 51 delle legge Delrio «le Province sono disciplinate dalla presente legge».

Tuttavia troveranno applicazione anche alle Province, quali enti di area vasta, le disposizioni del TUEL non incompatibili con la L. n. 56/2014, per quanto non disciplinato dalla stessa e dallo statuto.

In assenza di apposita previsione legislativa non è applicabile al Presidente della Provincia l'istituto della mozione di sfiducia, disciplinato dall'art. 52 del TUEL, sulla base del fatto che il Presidente della Provincia è eletto in virtù di elezione separata rispetto al Consiglio.

La legge n. 56/2014 prevede inoltre la decadenza dalla carica di Presidente della Provincia, solo nel caso di perdita dei requisito di eleggibilità.

Il dibattito politico sulla legge Delrio e l'intervento giudiziario delle Regioni

La discussione nell'aula della Camera dei Deputati incentrata sulla L. n. 56/2014 è stata assai profonda e articolata ed è stata preceduta dall'esame delle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate dagli Onorevoli Cristiani Invernizzi (LNA) e da altri; Renato Brunetta (FI) e altri; Fabiana Dadone (M5S) e altri.

Il relatore per la maggioranza è stato l'On. Emanuele Fiano (PD), mentre per la minoranza è stato l'On. Matteo Bragantini (LNA) che a differenza del collega di maggioranza ritiene il provvedimento in esame «in alcun modo soddisfacente […] privo di una visione strategica e programmatica, incapace di fornire ai cittadini prospettive di medio-lungo periodo fondate sul rilancio del Paese attraverso una politica seria di razionalizzazione della spesa pubblica e di efficientamento della pubblica amministrazione … non vediamo l'utilità di trasformare le Province. Perché non vengono abolite le Province in questo provvedimento, semplicemente vengono trasformate in un ente di secondo livello».

Ad avviso dell'On. Daniela Matilde Maria Gasparini (PD) «questa legge, è la prima delle grandi riforme che il Paese si sta aspettando da noi, riforma che mi auguro i Comuni e le Regioni possano attuare compiutamente nel più breve tempo possibile, perché è urgente avere pubbliche amministrazioni più trasparenti e meno burocratiche, rendere più chiare le responsabilità politiche, rendere più efficiente ed efficace la pubblica amministrazione semplificando le filiere decisionali... Questa riforma, che impropriamente nella comunicazione pubblica appare limitata solo alle Province, in realtà chiama in causa tutti i Comuni italiani e le Regioni, che dovranno ripensare alla loro organizzazione e potranno … diventare il perno del cambiamento istituzionale, culturale ed economico del Paese. Regioni e Comuni assumeranno un ruolo nazionale anche nel Senato delle autonomie e sono chiamati a superare le politiche di campanile che hanno reso meno strategico il loro ruolo e meno efficace la loro azione».

Secondo l'On. Florian Kronbichler (SEL) «questa di oggi non è una bella giornata per la democrazia. Restano le Province, spariscono le elezioni provinciali. Il Parlamento sta per introdurre alla grande il concetto di elezioni di secondo livello.

È un concetto balordo, quello di «elezioni a secondo livello. Noi continuiamo a sostenere il valore del suffragio universale, quindi delle elezioni di primo livello.

Per noi è un meno di democrazia. E non è questa che ci pare la grande esigenza del momento. Semmai vale il contrario. Il Paese soffre di mancanza di democrazia e che cosa fa il Governo, che cosa fa il legislatore? L'abbiamo fatto con una legge elettorale e lo facciamo ora con questa cosiddetta abolizione delle Province: ci preoccupiamo tanto di come sfruttare, tanto di come gestire meglio il voto dei cittadini. Invece ci preoccupiamo poco o per niente di come procurarci i voti, di come invogliare i cittadini ad andare a votare».

L'On. Marilena Fabbri (PD) rileva nel suo intervento che «nessuna riforma, nessun cambiamento, possa nascere contro qualcosa o contro qualcuno, ma solamente per un obiettivo di innovazione e di migliore efficacia ed efficienza del nostro sistema … è vero, non stiamo abolendo le Province, le stiamo trasformando. Stiamo introducendo una riforma epocale e significativa nel nostro Paese per ridare reale

autonomia alle comunità … l'economicità del nostro sistema non la misureremo a tre o a sei mesi, la misureremo nel medio-lungo periodo e, soprattutto, la misureremo se saremo capaci, come politici di rilievo nazionale e come amministratori di rilievo locale, di prendere e accompagnare effettivamente questa grande riforma del sistema, la quale prevede non solo la trasformazione delle Province, ma prevede e dà gambe alla fusione dei Comuni, che era già stata precedentemente prevista, ma che ulteriormente va a delineare e consente ai Comuni, effettivamente, di poter andare verso la fusione, nonostante le Regioni non abbiano deliberato in materia, così come prevedono norme specifiche e puntuali per favorire e realizzare le Unioni di comuni, che sono già obbligatorie per legge, ma che vedevano una serie di limitazioni anche nella mancanza della legislazione regionale».

La posizione di SEL è rappresentata dall'On. Stefano Quaranta «siamo partiti con Monti, siamo passati attraverso Letta e oggi arriviamo attraverso Matteo Renzi.

Ora, io devo dire che questa riforma mi sembra perfettamente calata nel Renzi style e cioè: pochi contenuti, una spruzzatina di demagogia e nulla davvero di diverso per i cittadini italiani. Alla base della riforma in effetti ci sono due questioni: meno politici nel nostro Paese, e questa è la spruzzatina di demagogia, e l'altra è quella dell'abbattimento dei costi della politica, che peraltro è tutta da verificare[ …] il rischio sarà quello di non tagliare i costi, limitare la qualità della nostra democrazia e, alla fine, non cambiare nulla nella vita dei cittadini e, questo sì, rischia di essere l'ulteriore passo che va ad erodere quel patrimonio di credibilità delle istituzioni già debole, e queste occasioni non devono essere perse per dare risposte serie».

Secondo il Deputato Paolo Russo (FI) «vorremmo noi fare sul serio, abolire davvero le Province. E lo vorremmo fare in un quadro istituzionale di carattere generale riflettendo anche sulle regioni, magari individuando un percorso che possa prevedere la costruzione di macroregioni. Vogliamo costruire sistemi istituzionali capaci di competere davvero in Europa e nel mondo, con Londra, piuttosto che con Chicago o Parigi e Pechino».

A loro volta alcune Regioni hanno intrapreso un percorso giudiziario avverso la legge Delrio.

In data 2 giugno 2014, la Giunta regionale del Veneto si è riunita in via straordinaria dando mandato all'Avvocatura regionale, supportata dal Prof. Luca Antonini, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università di Padova, di proporre alla Corte Costituzionale l'impugnativa della legge del 7 aprile 2014, n. 56, che detta "Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni", con la quale viene disciplinato il regime amministrativo destinato a regolamentare il funzionamento delle Provincie e delle città Metropolitane, in attesa della riforma del titolo V della Costituzione.

Le contestazioni proposte dalla Regione si incentrano soprattutto sul fatto che la istituzione di una Città metropolitana deve essere effettuata a mezzo di una procedura costituzionale che veda una azione propulsiva delle comunità locali e la partecipazione delle Regioni, aspetto che invece la nuova legge ha del tutto trascurato.

Inoltre, la legge, nel prevedere che la città metropolitana coincida con il territorio della provincia, contempla anche per i Comuni capoluogo limitrofi la possibilità di aderirvi. Anche in tal caso senza consultare le popolazioni interessate, ma prevedendo che, anche qualora la Regione interessata esprima parere contrario alle proposte di adesione formulate dai Comuni, sia il Governo a intervenire proponendo al Parlamento un disegno di disegno di legge contenente le modifiche territoriali di Province e Città metropolitane. A parere della Giunta veneta, tale metodologia non sarebbe rispettosa dell'articolo 133 della Costituzione.

Secondo la Regione, inoltre, le disposizioni definiscono una forma di governo incompatibile con il vigente modello costituzionale di distribuzione delle funzioni amministrative, in quanto si prevede che, in fase di prima istituzione, il Sindaco del Comune capoluogo della disciolta provincia sia di diritto il Sindaco metropolitano. In tal modo, si pone a capo della Città metropolitana un uomo scelto solo dagli elettori del Comune capoluogo e non dall'intero corpo elettorale appartenente al nuovo ente.

Censure che la Regione ha inteso riproporre anche nei confronti delle modalità di costituzione degli organi amministrativi delle Provincie. Le quali, in attesa della loro definitiva soppressione con la riforma del cosiddetto titolo V della Costituzione, vengono mantenute in vita, non procedendo al rinnovo in modo ordinario e a mezzo di elezione diretta dei propri organi, ma prevedendo ingiustificatamente che il presidente e il consiglio provinciale siano eletti non dalla cittadinanza ma dai sindaci e dai consiglieri comunali dell'ambito provinciale e con voto non uguale tra loro.

Si ricorda che anche nel corso delle audizioni parlamentari, i costituzionalisti avevano espresso forti dubbi sulla costituzionalità delle riforma, si veda in proposito il precedente post DDL Delrio e problematiche di copertura costituzionale.

Anche la Regione Puglia e le Regione Campania, come ulteriore esempio, hanno promosso ricorso per questione di legittimità costituzionale della L. n. 56/2014.

La posizione della dottrina riguardo alla L. n. 56/2014

La L. n. 56/2014 induce, innanzitutto, a compiere alcune riflessioni riguardo alla sua costituzionalità o meno.

A tal proposito l'11 ottobre 2013 è stato trasmesso alle Commissioni Affari Costituzionali e ai Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica l'appello "Per una riforma razionale del sistema delle autonomie locali", sottoscritto da 44 professori ordinari di materie giuspubblicistiche[19], con il quale si affronta la questione della legittimità costituzionale dei provvedimenti di "riforma" del sistema delle autonomie locali e di conseguenza viene rivolto un invito a tutte le forze politiche e alla società civile, alle imprese, alle forze intellettuali del nostro Paese ad una riflessione attenta e condivisa.

Quanto al destino delle Province i giuristi ritengono che «non si possa comunque con legge ordinaria sopprimere le funzioni di area vasta delle Province e attribuirle a Regioni e Comuni, né trasformare gli organi di governo da direttamente a indirettamente elettivi, né rivedere con una legge generale gli ambiti territoriali di tutte le Province».

Le Province sono enti previsti dalla Costituzione e costitutivi delle Repubblica, ai sensi dell'art. 114 Cost. e al contempo sono enti che hanno specifiche funzioni e dunque non possono essere trasformate in enti associativi comunali, visto che esse svolgono funzioni che non sono comunali; al contempo non è possibile che in esse sia eliminata la diretta responsabilità dei loro organi di governo nei confronti dei cittadini.

Ad avviso della dottrina in esame la soppressione delle Province potrebbe essere realizzata solo se le funzioni di area vasta, risultassero tutte attribuibili ai Comuni o alle Regioni; ma tali non sono attribuibili ai Comuni, in quanto essi sono in molti casi i principali destinatari delle scelte di area vasta operate nei loro confronti.

Al contempo l'attribuzione delle funzioni di area vasta alle Regioni è in contrasto con la configurazione costituzionale dell'ente regione, che dovrebbe divenire ente all'interno del quale si legifera e si programma e non essere soggetto operativo, fatto questo che determinerebbe un contrasto con il principio di sussidiarietà.

La soppressione della parola Provincia nella Costituzione appare quindi assai opinabile e determina una forte contraddizione poiché «se si riafferma l'esistenza di funzioni di area vasta (né comunali, né regionali), queste funzioni non possono essere attribuite ad enti di incerta e variabile natura (in qualche regione enti o uffici dipendenti, in altre enti locali a base associativa, in altre enti locali elettivi. Occorre, invece, una garanzia generale dell'esistenza di enti locali "necessari" di area vasta per tutto il territorio nazionale (salvo forse il caso delle Regioni più piccole) di cui la Costituzione e la legge statale devono continuare a tracciare gli elementi di base, a partire dalle funzioni e dal carattere direttamente elettivo degli organi)».

Inoltre «l'affidamento eventuale di funzioni di area vasta ad enti o soggetti politici (burocratici o solo indirettamente elettivi), appare oltretutto, chiaramente in contrasto anche con l'articolo 3, comma 2, della Carta europea delle autonomie locali, trattato internazionale che vincola direttamente il nostro legislatore, anche ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost., costituendo altresì un parametro per il giudizio sulla costituzionalità delle leggi».

L'appello che viene rivolto a chi ha responsabilità politiche riguarda la delineazione di «una linea di riforma delle autonomie locali condivisa ed efficace, con un approccio coerente e di sistema, senza strappi, senza operazioni di pura immagine, destinate a produrre danni profondi e duraturi sulla nostra democrazia locale».

Oltre a ciò nei procedimenti di revisione territoriale delle Province potrebbe essere riscritto (non soppresso) l'art. 133, primo comma, Cost., attribuendo alla Regione un ruolo di proposta in un procedimento di legge statale volto ad una revisione complessiva dei territori delle Province (con una loro significativa riduzione rispetto alla recente proliferazione) entro un tempo predeterminato; riconducendo, «agli enti autonomi territoriali le funzioni amministrative attualmente esercitate dalla miriade di enti e società strumentali regionali e locali (pubblici o privati in controllo pubblico), in larga misura da sopprimere (semplificando e risparmiando non poco), anche perché figli di una pessima concezione dell'autonomia politica degli enti territoriali, con scarsa trasparenza e controlli nelle gestioni e quindi anche fonti frequenti di sprechi e di fenomeni corruttivi».

Ad avviso di qualificata dottrina[20] «Tolte le Città metropolitane, […] il d.d.l. presenta parecchi problemi la cui causa principale, va detto subito, è dovuta al disallineamento tra ambizioni dello stesso d.d.l. in termini di ricostruzione di un razionale assetto del sistema territoriale e disegno costituzionale […] questo d.d.l. dichiara le Province "enti territoriali di area vasta" ma le priva di un livello di decisione politica. Il problema è che l'area vasta necessita di un livello di decisione politica che si ricomponga in una sintesi unitaria, come del resto è previsto per le Città metropolitane con il Consiglio metropolitano». La riforma del sistema delle autonomie locali auspicata con il d.d.l. Delrio appare discutibile «senza pensare di incidere indirettamente sul ruolo delle Regioni che rimarrebbero senza più né capo, né coda: con funzioni legislative solo sulla carta e con un carico di funzioni amministrative inadeguato alla loro struttura amministrativa poco flessibile e funzionale, poiché clonata sull'organizzazione ministeriale». Inoltre «le ambizioni di questo d.d.l. travalicano il disegno costituzionale attuale e proiettano una visione politica e amministrativa del sistema territoriale (anche condivisibile), assai diversa da quella attuale, con la conseguenza che se non "seguirà" la riforma costituzionale e non "precederà" quella dell'organizzazione amministrazione statale periferica avremo seri problemi.

In altri termini non è pensabile oggi far procedere le riforme istituzionali senza quelle costituzionali: le prime da sole non bastano più».

Secondo altra qualificata dottrina[21] il tema della c.d. area vasta e dell'azione riformatrice in atto avrebbe imposto al legislatore di ampliare la portata dell'intervento che avrebbe dovuto condurre a riconsiderare anche il ruolo delle Regioni, intese, invece, come «realtà immodificabili per struttura, dimensione e funzione […] la «spina dorsale del drago» diverrebbero solo le Regioni e i Comuni; le Città metropolitane conserverebbero sì una garanzia costituzionale (peraltro criptica nel suo contenuto minimo), ma collocandosi a un livello diverso - più basso, non equiparato - rispetto ai primi due enti […]il problema dell'ente intermedio - della sua esistenza e delle sue funzioni - sconta anche la rigidità dell'assetto territoriale regionale, considerato sinora come immutabile […]occorre a mio parere affrontare congiuntamente la problematica d'apice delle funzioni regionali e di un nuovo ritaglio territoriale del relativo livello.

Qui si possono immaginare due percorsi, ovviamente alternativi fra loro. Una prima strada consiste nel restituire alle Regioni quella centralità legislativa (e lato sensu istituzionale) che adesso è esercitata solo in via interstiziale (la felice espressione è di Caravita), ma nel quadro di una visione ben diversa dell'orditura: mi riferisco all'ipotesi delle cc.dd. Macro-Tegioni.

L'altra strada, invece, si sviluppa in senso opposto, immaginando un aumento del numero delle Regioni cui corrisponde, ovviamente, una contrazione della loro estensione territoriale […] il disegno di riforma risolve la questione ponendosi da un'altra angolazione, per me non corretta: assumendo - come detto - l'attuale livello e ritaglio regionale come acquisito, al pari del ruolo comunale. I due assetti territoriali e organizzativi esauriscono - in quella visione - il momento della governazione direttamente rappresentativa. Detto in modo diverso, il nodo dell'area vasta e della sua rappresentanza è qui risolto negandone in radice l'esistenza (con le sue specificità) e trasformandolo in una più angusta vicenda di articolazione (mediata) sul relativo territorio delle espressioni esponenziali delle comunità municipali».

Ad avviso di ulteriore dottrina[22] «si dà luogo a una nuova tipologia - o forse meglio, subtipologia - di ente territoriale, peraltro non prevista dalla Costituzione, vale a dire la Provincia con territorio interamente montano e confinante con uno Stato estero, alla quale, secondo il disegno di legge, saranno attribuite specifiche funzioni e competenze in deroga alla disciplina generale valevole per tutte le Province (vedi l'art. 1, comma 3, secondo capoverso). Per questo aspetto, tra l'altro, alcuni fondati dubbi di costituzionalità possono essere sollevati soprattutto per quanto concerne l'ammissibilità di una siffatta differenziazione tra le funzioni fondamentali delle Province (vedi, in particolare, le funzioni fondamentali aggiuntive previste dall'art. 15, comma 1 bis) e, in particolar modo, circa la ragionevolezza delle condizioni che sono assunte dal disegno di legge come elementi posti a giustificazione della distinzione invero piuttosto arbitraria operata nell'ambito della categoria delle Province, che invece sono costituzionalmente definite in modo del tutto unitario».

Il neo presidenzialismo

Prima dell'approvazione della L. n. 56/2014 la governance della Provincia, ai sensi del T.U. degli enti locali era costituita dal Consiglio, dalla Giunta e dal Presidente.

Il d. lgs. n. 267/2000 all'art. 36, rubricato Organi di governo, prevedeva, infatti, al comma 2 che: «sono organi di governo della Provincia, il Consiglio, la Giunta, il Presidente.

Dunque la Provincia aveva in passato un proprio esecutivo, nominato ai sensi dell'art. 46 TUEL dal suo Presidente (nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini e garantendo la presenza di entrambi i sessi), tra cui un vicepresidente; Presidente che nella prima seduta successiva all'elezione deve dare comunicazione al Consiglio dell'avvenuta nomina della Giunta.

La Giunta espletava importanti funzioni di governo del territorio provinciale, ad iniziare dal fatto che doveva necessariamente essere sentita dal Presidente della Provincia prima della presentazione al Consiglio delle linee programmatiche relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato; era composta dal Presidente della Provincia che la presiedeva e da un numero di assessori, stabilito in base all'art. 47 del TUEL ed aveva specifiche competenze, ai sensi dell'art. 48 del TUEL.

Ora l'art. 1, comma 54, della L. n. 56/2014 dispone che «sono organi delle Province […] esclusivamente:

a) il Presidente della Provincia;

b) il Consiglio provinciale;

c) l'Assemblea dei Sindaci[23].

A fronte dell'inserimento nell'ordinamento dell'Assemblea dei Sindaci, in esso adesso non compare più la Giunta della Provincia.

Questo è tanto un dato di fatto, quanto il prodotto delle scelte legislative che hanno inteso eliminare dalla governance dell'ente Provincia l'esecutivo, organo centrale nella "vecchia" Provincia nell'attuazione degli indirizzi del Consiglio.

Ai sensi dell'art. 48, comma 3, del TUEL, competeva alla Giunta l'adozione dei regolamenti sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio e compiva ai sensi dello stesso art. 48, comma 2 del TUEL, tutti gli atti rientranti ai sensi dell'articolo 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo che non erano riservati dalla legge al Consiglio e che non ricadevano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto del Presidente della Provincia o degli organi di decentramento; collaborava con il Presidente della Provincia nell'attuazione degli indirizzi generali del Consiglio; riferiva annualmente al Consiglio sulla propria attività e svolgeva attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso; esprimeva il proprio parere riguardo la nomina del Direttore Generale da parte del Presidente della Provincia (art. 108 d. lgs. n. 267/2000).

Ciò detto si è detto che la "nuova" Provincia non ha più la Giunta tra i suoi organi; questo è un dato di fatto ed è un dato giuridico che accresce notevolmente i poteri posti in essere in capo al Presidente, oltre a quelli che tale figura di vertice già ha in base all'ordinamento degli enti locali.

Ma qual è il provvedimento amministrativo attraverso il quale il Presidente della Provincia pone in essere le proprie decisioni?

La Giunta provinciale operava «attraverso deliberazioni collegiali, così come prescrive ora l'art. 48 del TUEL solo per la Giunta comunale le quali rappresentano le decisioni formali proprie di un organo collegiale.

Nel gergo amministrativo e con specifico riferimento agli enti locali, per delibera o deliberazione s'intende il provvedimento amministrativo che consegue ad una decisione dell'organo collegiale (Giunta comunale, Consiglio provinciale) su una determinata questione oggetto di discussione.

Con la deliberazione, tipico provvedimento amministrativo approvato da un collegio, è a quest'ultimo, costituito da una pluralità di persone che si imputano gli effetti dell'atto prodotto e non ai singoli soggetti che del collegio fanno parte.

Dunque si ritiene che la deliberazione, strictu sensu, non sia l'atto amministrativo idoneo, tramite il quale il Presidente della Provincia (organo monocratico) può espletare il proprio ruolo ed esternare le proprie decisioni assunte, poiché essa è il provvedimento tipico di un organo collegiale.

Un atto peculiare del Presidente della Provincia può, senz'altro, essere individuato nel Decreto; esso è il termine con il quale vengono denominati i provvedimenti amministrativi emanati dagli organi monocratici (e il Presidente della Provincia, lo si ribadisce, è un organo monocratico).

Un altro atto tipico dell'organo monocratico è dato dalla determinazione; essa è un provvedimento attraverso il quale i responsabili dei servizi o i dirigenti dell'ente esplicano l'attività di gestione e costituisce un provvedimento idoneo a permettere all'ente interessato di realizzare gli obiettivi attribuiti al dirigente.

Già il d. lgs. n. 77/1995[24], all'art. 27, comma 9, nel disciplinare le modalità con le quali i responsabili dei servizi assumevano atti di impegno, definiva tali atti «determinazioni» che andavano classificate con sistemi di raccolta nei quali venivano individuate tanto la loro cronologia, quanto l'ufficio di provenienza.

Ora il vigente TUEL (d. lgs. n. 267/2000) regola le determinazioni all'art. 183, rubricato impegno di spesa, comma 9, il quale prevede che: «il regolamento di contabilità disciplina le modalità con le quali i responsabili dei servizi assumono atti di impegno nel rispetto dei principi contabili generali e del principio applicato della contabilità finanziaria di cui agli allegati n. 1 e n. 4/2 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e successive modificazioni. A tali atti, da definire "determinazioni" e da classificarsi con sistemi di raccolta che individuano la cronologia degli atti e l'ufficio di provenienza, si applicano, in via preventiva, le procedure di cui ai commi 7 e 8».

Le determinazioni dirigenziali che non comportano assunzione di impegno di spesa sono esecutive fin dal giorno stesso della sottoscrizione da parte del dirigente competente salvo che sia diversamente stabilito dalla legge (ad es. art. 21-bis, legge n. 241/1990[25] per gli atti limitativi della sfera giuridica del destinatario) o dal provvedimento medesimo; mentre le determinazioni dirigenziali che comportano impegni di spesa sono trasmesse, a cura del Dirigente del Settore, al Settore Ragioneria e diventano esecutive con l'apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria rilasciato dal Dirigente del Settore finanziario o suo sostituto.

È del tutto evidente che le determinazioni presidenziali devono soggiacere al rispetto delle regole procedimentali sottostanti alla loro emanazione; al rispetto delle regole riguardanti l'assunzione di impegni per l'effettuazione di spese così come prevede l'art. 191 del TUEL, il quale dispone che: «gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e l'attestazione della copertura finanziaria di cui all'articolo 153, comma 5», al rispetto della pubblicità;

Tutto ciò detto e nonostante il Presidente della Provincia possa emanare propri atti amministrativi della species determinazioni (determinazioni che sono prodotte anche e soprattutto dai dirigenti e dai responsabili di servizio per i quali esse sono soprattutto atti tipici di gestione), bisogna sempre tener presente che negli enti locali va mantenuto sempre e comunque il criterio di riparto delle competenze tra organi politici e organi gestionali, principio cardine dell'ordinamento amministrativo.

Il principio di riparto delle competenze tra organi politici e organi gestionali

Il principio di riparto delle competenze tra organi politici e organi gestionali cui deve sottostare il Presidente della Provincia, deve essere ritenuto centrale dagli amministratori locali e dai dirigenti e funzionari, ragione per la quale appare importante comprendere quando una determinazione è conseguenza di atti politici o gestionali, al fine di evitare situazioni che possano rendere invalido il provvedimento amministrativo emanato da un organo incompetente e consentire, invece, la produzione di un provvedimento amministrativo valido ovvero conforme «al paradigma normativo dell'atto e dell'attività amministrativa posta in essere al fine della sua adozione»[26].

Non si deve dimenticare che il Presidente della Provincia è un organo; è cioè uno strumento d'imputazione ovvero l'elemento che consente all'ente locale territoriale di riferire all'ente medesimo atti e attività e di produrre effetti giuridici preordinati all'emanazione di atti che hanno rilevanza esterna; ed essendo il Presidente della Provincia un organo, egli è di conseguenza dotato di una precisa sfera di competenza.

Nel momento in cui un soggetto non ha la competenza ad emanare un particolare tipo di provvedimento amministrativo produce atti amministrativi viziati d'illegittimità per incompetenza relativa, vizio che fa seguito alla violazione delle norme d'azione.

Il principio di riparto delle competenze ha registrato un'evoluzione temporale, articolatasi all'interno degli enti locali in numerose tappe, ad iniziare dalla L. n. 142/1990, art. 51, comma 2, il quale prevedeva che: «spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge o lo statuto non riservino espressamente agli organi di governo»; principio che si ritrovava anche nel d. lgs. n. 29/1993, art. 3, applicabile ad ogni p.a. il quale disponeva che: «gli organi di governo definiscono gli obiettivi e i programmi da attuare e verificano la rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive generali impartite», a differenza dei dirigenti, responsabili della gestione e dei relativi risultati, ai quali spetta «la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, compresa l'adozione di tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo».

L'obbligo di riparto delle competenze tra politica e gestione viene ribadito dal d. lgs. n. 98/1998 che con l'art. 17 inserisce nel d. lgs. n. 29/1993 l'art. 27-bis, rubricato Criteri di adeguamento per le pubbliche amministrazioni non statali, il quale prevedeva che: «1. Le Regioni a statuto ordinario, nell'esercizio della propria potestà statutaria, legislativa e regolamentare e le altre pubbliche amministrazioni, nell'esercizio della propria potestà statutari e regolamentare, adeguano ai principi dell'articolo 3 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità. Gli enti pubblici non economici nazionali si adeguano anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano, adottando appositi regolamenti di organizzazione».

Ora il TUEL all'art. 107, rubricato funzioni e responsabilità della dirigenza, comma 1, prevede che: «Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo»; mentre il d. lgs. n. 165/2001; al contempo il d. lgs. n. 165/2001, all'art. 4, Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità, comma 1, prevede che: «Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti», mentre il comma 2 specifica che: «Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati».

La separazione delle competenze tra organi politici e gestionali, così come delineata, può dirsi ridimensionata dalla L. n. 388/2000 (legge finanziaria 2001), art. 53, comma 23, e, in seguito dalla L. n. 488/2001 (legge finanziaria per il 2002), art. 29, comma 4, poiché si permette l'attribuzione ai componenti dell'organo esecutivo della responsabilità degli uffici e dei servizi e il potere di emanare anche atti gestionali.

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4758/2014[27] ha ritenuto che la norma regionale (l. r. Puglia, n. 20/2006, art. 16) «non attribuisce affatto al Sindaco poteri di gestione in deroga al principio generale dell'ordinamento relativo alla distinzione tra le funzioni di indirizzo politico e le funzioni di gestione esclusivamente attribuite ai dirigenti fin dall'art. 51 della legge n. 142/1990 di riforma degli enti locali, con cui è stato infatti cristallizzato il principio di separazione/distinzione delle funzioni stesse.

Si tratta di un cardine fondante l'assetto delle autonomie locali, che di per sé è immediatamente applicabile senza la necessità dell'interposizione di fonti secondarie (cfr. Consiglio di Stato Sez. V, 26 settembre 2013 n. 4778) e che ha la finalità di evitare interferenze degli organi politici nella gestione concreta della "cosa pubblica".

L'assegnazione di deleghe presidenziali e il rispetto del principio di collegialità

La L. n. 56/2014, all'art. 1, comma 66, dispone che: «Il Presidente della Provincia può nominare un vicepresidente, scelto tra i consiglieri provinciali, stabilendo le eventuali funzioni a lui delegate e dandone immediata comunicazione al Consiglio. Il vicepresidente esercita le funzioni del Presidente in ogni caso in cui questi ne sia impedito. Il Presidente può altresì assegnare deleghe a consiglieri provinciali, nel rispetto del principio di collegialità, secondo le modalità e nei limiti stabiliti dallo statuto».

Il comma 66 pone dei problemi interpretativi, nel momento in cui prevede la possibilità che il Presidente della Provincia possa assegnare deleghe ai consiglieri provinciali «nel rispetto del principio di collegialità» e nei limiti stabiliti dallo statuto.

Nulla quaestio per la possibilità che il Presidente possa assegnare deleghe ai consiglieri per l'espletamento del mandato amministrativo. Il significato dell'assegnazione delle deleghe è assai chiaro; attraverso il mezzo della delega il Presidente della Provincia mette in atto procedure di semplificazione del processo politico-amministrativo attraverso il quale è possibile conseguire gli obiettivi programmati.

È noto che la delega è «l'atto amministrativo di tipo organizzatorio per effetto del quale un organo (delega interorganica) o un ente (delega intersoggettiva) conferisce unilateralmente ad un altro organo o ad un altro ente il potere di provvedere in ordine ad una determinata materia, rientrante nella propria competenza. Il potere oggetto di delega è poi esercitato dal soggetto delegato in nome proprio, sicché è tale soggetto ad assumerne la relativa responsabilità»[28].

Ciò detto, appare del tutto evidente che la delega ha carattere discrezionale, essendo il suo conferimento legato all'esclusiva volontà del soggetto delegante; è rilasciata a tempo determinato non potendo esistere una delega a carattere definitivo, è consentita nei soli casi ammessi dalla legge[29] e deve avere forma scritta[30].

Con riguardo al regime giuridico degli atti emanati dal soggetto delegato nell'esercizio della delega conferitagli si osserva che l'atto che viene posto in essere nell'esercizio della delega viene imputato al soggetto delegato, il quale di conseguenza è responsabile dell'attività della persona delegata.

Possono nascere a tal proposito delle dispute giuridiche riguardo alla possibilità che l'atto delegato venga impugnato davanti al soggetto che ha conferito la delega ovvero il soggetto delegante, attraverso lo strumento del ricorso gerarchico, indirizzato all'autorità gerarchicamente superiore a quella che ha adottato il provvedimento che il destinatario dello stesso ritiene sia lesivo delle sue prerogative.

Gli atti emanati in forza di delega sono soggetti a ricorso gerarchico, salvo i casi in cui l'autorità delegata abbia impartito ordini o istruzioni precisi nel contenuto[31]; anche se in dottrina e in giurisprudenza sono presenti perplessità riguardo alla possibilità che possa impugnarsi con lo strumento del ricorso gerarchico atti del soggetto delegato.

Riguardo, invece, all'ammissibilità del ricorso gerarchico, il Consiglio di Stato[32] ha sostenuto la tesi dell'ammissibilità del ricorso gerarchico, sulla base del fatto che comunque il superiore gerarchico conserva il potere di riesame sollecitato dalla proposizione del ricorso amministrativo.

Il ricorso gerarchico è disciplinato dal d. p. r. 1199/1971[33], artt. 1-6, nei quali si prevede che contro gli atti amministrativi non definitivi è ammesso ricorso in unica istanza all'organo sovraordinato, per motivi di legittimità e di merito da parte di chi vi abbia interesse; ricorso da proporsi nel termine di trenta giorni dalla data della notificazione o della comunicazione in via amministrativa dell'atto impugnato o da quando l'interessato ne abbia avuto piena conoscenza[34].

Dopo aver esaminato la legittima possibilità di delega ai consiglieri per l'espletamento del mandato amministrativo che ha il Presidente della Provincia, occorre indagare la controversa questione dell'inciso «nel rispetto del principio di collegialità […] e nei limiti stabiliti dallo statuto», contenuto nella L. n. 56/2014, art. 1, comma 66, di cui supra.

Sembra di essere di fronte ad un'aporia, forse frutto di una non del tutto brillante esplicitazione della volontà del legislatore; oppure "solo" davanti ad un problema di drafting[35].

Si richiama a tal proposito un utile strumento di lavoro per le quattro Regioni dell'obiettivo convergenza, Supporto al Drafting Normativo per il Poat Dagl in relazione ai progetti operativi delle quattro Regioni dell'obiettivo convergenza, elaborato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, dove di legge che «è proprio questa la funzione più rilevante del legal drafting; ovvero produrre norme chiare perché:

a) aumenta le possibilità della loro comprensione e, conseguentemente, della loro attuazione;

b) aumenta l'efficacia del processo di implementazione e monitoraggio delle leggi;

c) diminuisce il contenzioso che nasce, spesso, dalla loro controversa interpretazione.

A sua volta la L. n. 69/2009[36], con l'art. 3, al Capo III della legge 23 agosto 1988, n. 400, inserisce l'art. 13-bis, rubricato chiarezza dei testi normativi, il quale prevede la «chiara comprensione» delle norme statuali.

Ed ancora la Circolare congiunta - Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, adottata dalla Presidenza di Camera e Senato e dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (aprile del 2001) non lascia alcun dubbio, circa la necessità (e l'obbligo) della chiarezza nella redazione delle leggi[37].

«Il proliferare di una produzione legislativa frammentaria, disorganica e connotata da scarsa chiarezza rappresenta ormai un costo eccessivo per i cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione»[38].

In un proprio articolo, il Senatore Zanda richiama un saggio di Tullio De Mauro, il quale ricorda che una legge si differenza da testi di altra natura in quanto «mira a trasferire conoscenze al destinatario perché questi le utilizzi, in tempi definiti, per regolare il suo comportamento pratico». La chiarezza della lingua del legislatore, conclude Zanda richiamando De Mauro, è al tempo stesso l'indicatore e il presupposto dello sviluppo di un Paese: senza chiarezza non c'è sviluppo[39]; scarsa chiarezza che, ad avviso di chi scrive, nonostante tutto, campeggia nell'art. 1, comma 66 della L. n. 56/2014.

Ciò detto, che cosa vuole significare il legislatore nella L. n. 56/2014, art. 1, comma 66, quando sostiene che il Presidente può altresì assegnare deleghe a consiglieri provinciali, «nel rispetto del principio di collegialità, secondo le modalità e nei limiti stabiliti dallo statuto»?

Come si è visto, supra, la L. n. 56/2014 all'art. 1, comma 54, ha determinato gli organi della Provincia che sono esclusivamente

a) il Presidente della Provincia;

b) il Consiglio provinciale;

c) l'Assemblea dei Sindaci.

Nella Provincia non vi è più la Giunta, ma la legge Delrio non ha precisato qual è l'organo che assorbe le funzioni del soppresso organo, tra il Consiglio provinciale, l'Assemblea dei Sindaci e il Presidente della Provincia.

Il Consiglio ha compiti di indirizzo e controllo e tra le altre incombenze «esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto», così come prevede l'art. 1, comma 55.

L'Assemblea dei Sindaci ha poteri propositivi, consultivi e di controllo «secondo quanto disposto dallo statuto», in base a quanto disposto dall'art. 1, comma 55.

Il Presidente della Provincia rappresenta l'ente, convoca e presiede il Consiglio provinciale e l'Assemblea dei Sindaci, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti; «esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto», sempre ai sensi dell'art.1, comma 55.

A fronte della mancanza di un esplicito organo esecutivo, sembrerebbe che la soluzione possa essere demandata allo statuto dell'ente.

Ma una lettura costituzionalmente orientata della L. n. 56/2014 ci induce a ricordare che l'articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia relativa a «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane».

Di conseguenza non è persino immaginabile che lo statuto possa essere il mezzo cui attribuire il compito di stabilire la competenza degli organi della Provincia.

Difatti, ai sensi del d. lgs. n. 267/2000, art. 6, «lo statuto, nell'ambito dei princìpi fissati dal presente testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio. Lo statuto stabilisce, altresì, i criteri generali in materia di organizzazione dell'ente, le forme di collaborazione fra Comuni e Province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell'accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi, lo stemma e il gonfalone e quanto ulteriormente previsto dal presente testo unico».

Dunque è la legge dello Stato ad attribuire le competenze degli organi e non lo statuto, in quanto esso, all'interno della cornice legislativa, le può solo specificare, salvo a voler riconoscere che le competenze degli organi possano essere nel nostro Paese a geometria variabile e a confusione costante, come sarebbe qualora fosse lo statuto a dover attribuire le competenze degli organi; ovvero differente da Provincia a Provincia, in base all'autonomia assegnata agli enti locali dall'art. 3, comma 1 del TUEL, il quale dispone che: «Le comunità locali, ordinate in Comuni e Province, sono autonome».

Occorre ribadire che nonostante sia in vigore la L. n. 56/2014 è operante anche il d. lgs. n. 267/2000 e, di conseguenza, le norme ivi contenute che non siano palesemente in contrasto con la legge Delrio, la quale comunque avrebbe dovuto dichiarare la loro abrogazione espressa, così come prescrive il TUEL all'art. 1, comma 4, il quale prevede che: «Ai sensi dell'articolo 128 della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni».

Pertanto sembra di poter affermare che né il Consiglio provinciale (organo d'indirizzo e controllo ai sensi dell'art. 42 TUEL), né l'Assemblea dei Sindaci (organo con poteri propositivi, consultivi e di controllo ai sensi dell'art. 1, comma 55 della L. n. 56/2014), né tantomeno i dirigenti (spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti, ai sensi dell'art. 107 del TUEL), possano essere depositari di poteri esecutivi, di governo dell'ente.

Rimane dunque in capo al Presidente della Provincia la competenza del "vecchio" organo esecutivo collegiale dell'ente, della Giunta provinciale; Presidente della Provincia che diviene in toto organo esecutivo monocratico.

Si giustifica così anche la possibilità che il Presidente della Provincia possa attribuire deleghe ai consiglieri provinciali secondo le modalità e nei limiti stabiliti dallo statuto, viste le notevoli responsabilità che gravano su tale figura monocratica, alla quale, pertanto, è consentito di introdurre un sistema per alleggerire la propria attività politico-amministrativa.

È del tutto evidente che l'eventuale esercitato potere di delega presidenziale ed il conferimento di specifici compiti ai consiglieri provinciali non può far surrettiziamente riviere la Giunta provinciale, in quanto essa è un organo soppresso per legge; perché nelle Province ante legem Delrio, il TUEL, all'art. 47, comma 3 prevede che: «Nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e nelle Province gli assessori sono nominati dal sindaco o dal Presidente della Provincia, anche al di fuori dei componenti del Consiglio, fra i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere» e tale possibilità pare sia impossibile realizzarla in vigenza della L. n. 56/2014; perché a differenza di quanto accadeva per gli assessori provinciali che potevano adottare provvedimenti aventi efficacia esterna, i consiglieri delegati non hanno tali potere che rimane in capo al Presidente, organo delegante.

Resta da chiarire l'oscuro senso del «rispetto del principio di collegialità» nell'assegnazione ai consiglieri provinciali.

Il Presidente della Provincia può, se lo ritiene, assegnare deleghe ai consiglieri, ma deve rispettare il «principio di collegialità».

Pare che con questo modo di procedere, il legislatore abbia voluto affermare un forte (ed inconscio?) elemento anti-tautologico; imbattendosi in una chiara contraddizione in termini e prevedendo il principio di collegialità pur in mancanza di un organo esecutivo (organo collegiale per antonomasia) che è stato soppresso.

Il sopra citato principio di collegialità potrebbe indicare che i consiglieri delegati «avrebbero la possibilità di proporre al Presidente l'adozione di decreti nelle rispettive materie oggetto di delega e potrebbero relazionare sulle proposte formulate allo stesso Presidente in specifiche riunioni, non pubbliche, da tenersi con cadenza settimanale alla presenza del segretario generale. A tali riunioni potrebbero partecipare i dirigenti o i responsabili dei servizi interessati, se invitati. Le decisioni che emergessero nel corso di questi incontri andrebbero quindi assunte con la forma del decreto del Presidente, unico soggetto cui spetta la decisione finale sull'adozione o meno dell'atto»; ma la stessa dottrina avverte che «si tratta, a ben vedere, di un salto mortale interpretativo. Non certo l'unico a cui la legge n. 56/2014 costringerà gli operatori nei giorni che verranno»[40].

Dunque si può ritenere allora che «rispetto del principio di collegialità» significhi collaborazione dei consiglieri delegati con il Presidente nell'espletamento delle sue funzioni, potendo essi emanare direttive ai dirigenti di riferimento dell'ente, per consentire un più agevole raggiungimento degli obiettivi ad essi assegnati con il piano esecutivo di gestione?

Forse sì! specialmente nel "nuovo" ente d'area vasta, dove il vige neo presidenzialismo, povero di tempo (il Presidente della Provincia è anche Sindaco del proprio Comune) e di denaro (gratuità della funzione e governo dell'ente a risorse finanziarie drasticamente ridotte).

Se dunque l'oscura dicitura «rispetto del principio di collegialità» sta per coadiuvare il Presidente della Provincia nell'azione politico-amministrativa, allora perché non raccogliere l'invito rivolto supra dal Senatore ZANDA: «Le leggi? Scriviamole in italiano».

A tal proposito soccorre la nota n. 1/2014 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ad oggetto: Legge 7 aprile 2014, n. 56. Chiarimenti in merito a talune problematiche sule funzioni dei nuovi organi.

In tale nota, relativamente ai poteri del Presidente della Provincia (pag. 3), si precisa che «il Presidente eletto, anche in attesa dell'approvazione dello statuto entro il 31 dicembre 2014, può nominare un vicepresidente, ai sensi del primo periodo del comma 66 della legge.

Quanto alla facoltà prevista dall'ultimo periodo dello stesso comma, di assegnare deleghe ai consiglieri provinciali, si ritiene che l'espressa previsione contenuta nella disposizione, per cui saranno gli statuti delle nuove Province a stabilire le modalità e i limiti di tali incarichi, appare rendere necessaria l'adozione delle relative disposizioni statutarie per l'assegnazione delle deleghe in questione.

Per quanto, inoltre, concerne il rispetto del principio di collegialità che il comma 66 terzo periodo richiama con riferimento alla nomina dei consiglieri delegati, si deve precisare che, ponendosi il principio collegiale come un metodo e non concretizzando un organo, resta esclusa la possibilità che i consiglieri delegati possano costituire, insieme al Presidente e al vicepresidente, un nuovo organo non previsto dalla legge.

Sulla base di tale principio, lo statuto stabilirà le modalità e i limiti nei quali il Presidente potrà assegnare deleghe ai consiglieri provinciali.

L'eccezione che conferma la regola: la paradossale riviviscenza della Giunta provinciale nella legge del Friuli Venezia Giulia

Nel nostro Paese c'è sempre un'eccezione che conferma la regola.

L'eccezione in questo caso è data dalla l. r. n. 2/2014[41], approvata di recente dal Consiglio della Regione Friuli Venezia Giulia che fa rivivere nell'ordinamento regionale friulano la Giunta provinciale; la regola, dunque, è la reviviscenza della Giunta provinciale, in modo distonico rispetto al legislatore nazionale e in una Regione che conta appena 1.233.000 abitanti.

Il Friuli Venezia Giulia è una Regione italiana autonoma a statuto speciale che in vista del riordino del sistema delle autonomie locali del Friuli Venezia Giulia e in attesa della conclusione del procedimento di modificazione dello Statuto, finalizzato alla soppressione del livello ordinamentale delle Province e avviato su iniziativa del Consiglio regionale, ha disciplinato il sistema di elezione degli organi delle Province e il relativo procedimento elettorale.

L'art. 2 della legge regionale in esame prevede che: «Sono organi della Provincia l'Assemblea dei Sindaci, il Consiglio provinciale, il Presidente della Provincia e la Giunta provinciale».

L'art. 28 della l. r. n. 2/2014 dispone che: «1. L'elezione del Presidente della Provincia e della Giunta provinciale deve avvenire entro trenta giorni dalla proclamazione degli eletti.

2. L'elezione avviene sulla base di un documento programmatico, sottoscritto da almeno un quarto, arrotondato all'unità superiore, dei consiglieri assegnati alla Provincia, contenente i nomi dei candidati alle cariche di Presidente della Provincia e di assessore.

3. L'elezione avviene a scrutinio palese a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. A tal fine vengono indette due successive votazioni, da tenersi in distinte sedute, entro il termine indicato al comma 1.

4. In caso di mancata elezione del Presidente della Provincia e della Giunta provinciale entro il termine indicato al comma 1, si procede allo scioglimento del Consiglio provinciale ai sensi dell'articolo 11.

5. Nei casi previsti dall'articolo 9 il Consiglio è convocato dal vicepresidente, per l'elezione del nuovo Presidente e della nuova Giunta, entro venti giorni dalla data in cui si è verificata la vacanza dell'ufficio o, in caso di dimissioni, dalla data di presentazione delle stesse».

Ai sensi dell'art. 4, commi 2 e 3 «2. La Giunta provinciale è composta dal Presidente della Provincia e da un numero di assessori non superiore a due.

3. Il Presidente della Provincia nomina tra gli assessori il vicepresidente».

Il Consiglio provinciale è eletto dai Sindaci e dai consiglieri comunali dei Comuni della Provincia con voto diretto, libero e segreto, attribuito a liste concorrenti di candidati, in un unico collegio corrispondente al territorio della Provincia.

Il Presidente della Provincia e la Giunta provinciale sono eletti dal consiglio provinciale nel suo ambito, nella prima seduta.

Il Consiglio provinciale dura in carica cinque anni ed è composto da:

a) ventidue consiglieri nelle province con popolazione sino a 200.000 abitanti;

b) ventiquattro consiglieri nelle province con popolazione sino a 300.000 abitanti;

c) ventisei consiglieri nelle province con popolazione sino a 400.000 abitanti;

d) trenta consiglieri nelle province con popolazione superiore a 400.000 abitanti; mentre il Presidente della Provincia e la Giunta provinciale scadono contemporaneamente al Consiglio e restano in carica per l'ordinaria amministrazione sino all'elezione dei successori.

Come si vede una legge regionale diversa nell'approccio dalla L. n. 56/2014, che registra un numero notevole di consiglieri provinciali rispetto a quanto previsto dalla legge Delrio[42]; che prevede la presenza della Giunta provinciale abolita dalla legge nazionale; che stabilisce l'elezione del Presidente e della Giunta eletti dal Consiglio provinciale nella prima seduta; che dispone che il Consiglio provinciale dura in carica cinque anni[43]; che prevede che il Presidente della Provincia e la Giunta provinciale scadono contemporaneamente al Consiglio[44].

Com'è possibile vedere, seppur grazie all'autonomia legislativa tipica di una Regione a statuto speciale come la Regione Friuli Venezia Giulia, la sostanza della legge regionale n. 2/2014 non tiene conto della filosofia della legge Delrio, basata sui risparmi di spesa pubblica; atteso che quest'ultima legge ha soppresso l'esecutivo, mantenuto invece nella legislazione regionale; ha ridotto notevolmente il numero dei consiglieri provinciali a differenza di ciò che è avvenuto in Friuli, solo per citare alcuni esempi.

Eppure la Regione Friuli Venezia Giulia è guidata dalla Presidente Debora Serracchiani, renziana, la quale nel partito nel quale milita ha dovuto sposare il tema della spending review, all'interno della quale i risparmi, soprattutto ai costi della politica, assumono valenza centrale; risparmi sui costi della politica che evidentemente appaiono secondari nella Regione Friuli Venezia Giulia.

Occorre doverosamente aggiungere che sulla base di un ricorso presentato dal Presidente della Provincia di Pordenone, il TAR del Friuli Venezia Giulia, con ordinanza del 15 ottobre 2014, n. 495, aveva sospeso il decreto emanato dall'assessore regionale alle Autonomie locali, con il quale erano state indette le elezioni, in base alla legge regionale n. 2 del 2014 che ha fissato i nuovi criteri di elezione indiretta degli organismi provinciali.

Il TAR ha rinviato nello stesso tempo alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale di alcune norme della legge regionale n. 2 del 2014.

Successivamente il Consiglio di Stato ha accolto l'appello cautelare della Regione Friuli Venezia Giulia contro l'ordinanza n. 495/2014, con la quale il Tribunale amministrativo regionale, su istanza del Presidente in proroga della Provincia di Pordenone, aveva sospeso le elezioni provinciali previste per lo scorso 26 ottobre 2014 e aveva trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale perché era stata ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 12, 16, 33 e 35 della legge regionale n. 2/2014, con la quale la Regione Friuli Venezia Giulia ha stabilito un nuovo sistema di elezione degli organi provinciali[45].

Criteri per l'individuazione dei beni e delle risorse connesse con l'esercizio delle funzioni provinciali

È pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 263 del 12 novembre 2014 il dpcm 26 settembre 2014 di attuazione dell'art. 1, comma 92, della legge Delrio: Criteri per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse con l'esercizio delle funzioni provinciali che devono essere trasferite, dalle Province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso, nonché quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista.

Il decreto in esame tiene conto delle risorse finanziarie, già spettanti alle Province ai sensi dell'art. 119 della Costituzione, che devono essere trasferite agli enti subentranti per l'esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali; dispone in ordine alle funzioni amministrative delle Province in materie di competenza statale; stabilisce, modalità e termini procedurali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni oggetto di riordino.

Per l'individuazione dei beni e delle risorse connessi alle funzioni oggetto di riordino, le Province, anche quelle destinate a trasformarsi in Città metropolitane, effettuano, entro 15 giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale, una mappatura dei beni e delle risorse connesse a tutte le funzioni, fondamentali e non, alla data di entrata in vigore della legge.

Tale mappatura è comunicata alla Regione e al rispettivo Osservatorio di cui all'Accordo adottato ai sensi dell'art. 1, comma 91, della legge.

In esito all'attribuzione delle funzioni le amministrazioni interessate concordano, entro i termini previsti e secondo le modalità stabilite dalle Regioni, tenendo conto del documento validato di cui al comma 3, il trasferimento dei beni e delle risorse, ivi comprese le risorse assegnate dallo Stato in conto capitale o interessi.

Il dpcm 26 settembre 2014 emana anche criteri generali per l'individuazione delle risorse finanziarie tenendo conto:

a) dei dati desumibili dai rendiconti di bilancio provinciali dell'ultimo triennio;

b) dei dati forniti dalle Province relativamente alla quantificazione della spesa provinciale ascrivibile a ciascuna funzione o a gruppi omogenei di funzioni;

c) della necessità che siano attribuite ai soggetti che subentrano nelle funzioni trasferite le risorse finanziarie, già spettanti alle Province.

Le risorse finanziarie trasferite non potranno, in ogni caso, superare l'ammontare di quelle utilizzate dalle Province per l'esercizio delle funzioni precedente al riordino, tenuto conto del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66.

Ai sensi dell'art. 1, comma 89, della legge, nei termini e secondo le modalità previste dallo Stato e dalle Regioni, le amministrazioni interessate al riordino delle funzioni individuano, nel rispetto della disciplina prevista all'art. 1, comma 96, lettera a), della legge nonché delle forme di esame congiunto con le organizzazioni sindacali previste dalla normativa vigente, il personale e i rapporti di lavoro interessati al trasferimento secondo i seguenti principi e criteri:

a) rispetto dei limiti finanziari e numerici previsti dall'accordo sottoscritto ai sensi dell'art. 2, comma 4, del presente decreto;

b) garanzia dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nonché di quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista;

c) svolgimento in via prevalente, alla data di entrata in vigore della legge, ferme restando le cessazioni eventualmente intervenute, di compiti correlati alle funzioni oggetto di trasferimento;

d) subentro anche nei rapporti attivi e passivi in corso, compreso il contenzioso, e, con riferimento ai posti di organico correlati alle funzioni oggetto di trasferimento, le procedure concorsuali e le graduatorie vigenti.

L'art. 6 del dpcm 26 settembre 2014 dispone in merito alle funzioni amministrative di competenza statale, mentre l'art. 7 prevede che l'effettivo avvio di esercizio da parte dell'ente subentrante delle funzioni trasferite dalle Regioni, ai sensi del presente decreto, sarà determinato dalle singole Regioni con l'atto attributivo delle funzioni oggetto del trasferimento.

Conclusioni

La questione inerente la soppressione della Provincia come ente pubblico si agita da tempo nel variegato panorama politico-istituzionale del nostro Paese.

I costituenti avevano introdotto nella Costituzione la novità delle Regioni e avevano nell'art. 128 Cost. previsto che: «Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni».

Al principio autonomistico si diede risposta con l'art. 5 Cost. «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».

Molti dubbi concernenti i contenuti concreti del principio autonomistico non ebbero risposta; dubbi che riguardarono anche la Provincia ovvero l'opportunità di mantenerla in vita o meno[46].

Ciò detto, nell'art. 114 Cost., venne previsto che: «La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni», reiterando quanto contenuto nella legge provinciale e comunale del 1865, la quale prevedeva all'art. 1 che: «Il Regno si divide in Provincie, Circondari, Mandamenti e Comuni».

L'occupazione politica del territorio, degli enti locali in primis, compromesse il già fragile equilibrio politico istituzionale, dando ampio spazio alla proliferazione delle Province che è continuato fino ai nostri tempi.

Nella metà degli anni '70 l'istituzione delle Regioni ordinarie riaprì il dibattito tra le forze politiche sulla necessità di adeguare il Paese alla mutata realtà istituzionale.

Si ridiscusse allora l'utilità della permanenza nell'ordinamento di un ente intermedio tra Comune e Regione «ente che viene ora configurato come Provincia-comprensorio, tendendo ad una sorta di mediazione fra le istanze di mantenimento della Provincia […] costituita mediante elezioni dirette, [alla quale] vengono attribuite alcune funzioni amministrative (di rilievo, particolarmente in materia urbanistica), la gestione di alcuni servizi sovracomunali, ma soprattutto cospicue responsabilità programmatorie; [mentre] in senso diverso muovevano opzioni che concepivano la Provincia come centro intermedio di programmazione e di supporto all'azione esercitata, anzitutto, dai Comuni, cui è riservato il ruolo di terminale amministrativo a diretto contatto con i cittadini. Concezione, quest'ultima, nella quale la stessa elettività in via diretta degli organi provinciali può ragionevolmente - così come, in effetti, è avvenuto - essere posta in discussione»[47].

Dalla fase d'incertezza sulla necessità di esistenza delle Province degli anni '70, si passò negli anni ‘80 ad ammettere che le Province fossero un utile punto di riferimento per l'allocazione di funzioni amministrative, atteso che anche le Regioni avevano delegato alle Province importanti funzioni che vanno dalla formazione professionale, alla caccia e pesca, dall'ambiente all'agricoltura.

Gli anni ‘90 furono gli anni della L. n. 142, all'interno della quale la Provincia divenne depositaria di tutta una serie di importanti «funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale» (art. 14) e di rilevanti «compiti di programmazione» (art. 15); funzioni e compiti di programmazione confermati dal vigente TUEL (d lgs. n. 267/2000, artt. 19, 20, 21).

Pertanto la Provincia è stata sottoposta ed è tutt'ora sottoposta a visioni altalenanti, i cui risultati sono sotto i nostri occhi in quest'ultimi anni, nel corso dei quali si sono registrate ipotesi di accorpamento delle Province esistenti, con conseguente tentativo di riduzione del loro numero; svuotamento delle loro funzioni; concrete teorie di loro soppressione, eliminandole dal panorama costituzionale.

Il tutto all'interno di un quadro politico che vede il nostro Paese in forti difficoltà dal punto di vista economico-finanziario; fatto che ha imposto il perseguimento di politiche di tagli alla spesa pubblica e politiche di spending review.

Il punto è che spesso il Governo ha fatto ricorso alla decretazione d'urgenza per affrontare il tema del riordino delle autonomie locali territoriali (fatto non condiviso dalla Corte Costituzionale) e ha agito (assieme al Parlamento) in assenza di una visione olistica ovvero di uno sguardo riformatore d'assieme dell'intero sistema Paese, potendo (e dovendo) ragionare anche riguardo all'impostazione regionale dello Stato e contestualmente pensare ad una riforma delle Province e dei Comuni.

Ora con la L. n. 56/2014 si è di fronte , ad una Provincia ente d'area vasta; ente di secondo livello, dove la governance (Presidente e Consiglio) non viene più eletta dal corpo elettorale diffuso, ma dai Sindaci e consiglieri comunali in carica.

Si è di fronte ad una "nuova" Provincia dalle funzioni rivisitate, a forte impronta comunale, dove da un lato viene abolito l'esecutivo e dall'altro vengono esaltati i poteri del Presidente a fronte della gratuità delle cariche istituzionali dell'ente.

Provincia dunque a vocazione presidenzialista e a decisa presenza comunale, atteso che la L. n. 56/2014 inserisce nell'ordinamento anche l'Assemblea dei Sindaci.

La riforma Delrio è stata fortemente criticata da buona parte della dottrina ed è sub iudice, visto che diverse Regioni hanno ritenuto che essa fosse in molti punti incostituzionale, fatto che ha comportato che i motivi di doglianza delle Regioni approdassero alla Corte Costituzionale.

Ora il sistema istituzionale delle autonomie locali territoriali rischia d'ingolfarsi, a causa del trasferimento di tutta una serie di funzioni ex provinciali alle Regioni e da queste ai Comuni anche in forma associata, con tutta una serie di problematiche al seguito, consistenti nella ricollocazione del personale in esubero delle Province ad altre istituzioni pubbliche e nella gestione dei servizi che stentano ad essere erogati, proprio a causa della confusione interistituzionale che regna sovrana.

La Corte Costituzionale saprà fare chiarezza sulla costituzionalità del processo riformatore attivato dal Governo Renzi? Lo si vedrà nei prossimi mesi; per l'intanto il dibattito tra sostenitori dell'esigenza del mantenimento del terzo livello di governo del territorio statale (le Province) e i detrattori, continua vivacemente nel nostro Paese.

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Lecce, 27 novembre 2014

Prof. Luigino Sergio, già Direttore Generale della Provincia di Lecce; esperto di organizzazione e gestione degli enti locali; e-mail: luiginosergio@yahoo.it

[1] L. 7 aprile 2014 n. 56, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, in G.U. 7 aprile 2014, n. 81.

[2]Ministero dell'Economia e delle Finanze, Libro verde sulla spesa pubblica, 2007, p. 107.

[3]L. 16 maggio 1970, n. 281, Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario, in G.U. n.127 del 22 maggio 1970.

[4]Vision: È l'idea di fondo di un imprenditore, di un politico, di un amministratore pubblico e rappresenta ciò che l'azienda o l'istituzione intende diventare; mission: È la guida per concretizzare l'idea di fondo, mette a fuoco il presente e descrive chiaramente cosa fare e quali mezzi utilizzare per conseguire gli obiettivi programmati.

[5]Uso il termine "a spizzico" e "olistico" in maniera differente da quanto inteso da Karl Popper, in Miseria dello storicismo. Intendo per intervento a spizzico quello parcellizzante che non si pone il problema di aver chiaro il panorama generale di una questione, rispetto all'incognita da risolvere.

Per Karl Popper, invece «il meccanismo a spizzico […] sa che è soltanto dai nostri errori che possiamo imparare. Perciò avanza un passo alla volta, confrontando con cura i risultati previsti con quelli effettivamente raggiunti e stando sempre in guardia per avvistare le inevitabili conseguenze non volute di ogni riforma; ed eviterà di intraprendere riforme di una complessità e di una vastità che sia impossibile per lui districare le cause e gli effetti e sapere che cosa veramente stia accadendo […] la meccanica sociale olistica o utopistica, a differenza di quella a spizzico […] mira a riplasmare l'intera società secondo un piano regolatore preciso; mira a ad impadronirsi delle posizioni chiave e ad estendere il potere dello Stato [ …] finché Stato e società siano diventati quasi identici. KARL R. POPPER, Miseria dello storicismo, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 70.

[6] d. l. 13 agosto 2011, n. 138, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, in G.U. 13 agosto 2011, n. 188, convertito in L. 14 settembre 2011, n. 148, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, in G.U. 16 settembre 2011, n. 216.

[7] d. l. 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, in G.U. 6 dicembre 2011, n. 284, S.O.

[8] L. 8 marzo 1951, n. 122, Norme per l'elezione dei Consigli provinciali, in G.U. Uff. 13 marzo 1951, n. 60.

[9] L. 25 marzo 1993, n. 81, Elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale, in G.U 27 marzo 1993, n. 72, S.O., art. 8; d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, in G.U. 28 settembre 2000, n. 227, S.O., art. 74, comma 1, il quale prevede che: «il Presidente della Provincia è eletto a suffragio universale e diretto, contestualmente alla elezione del Consiglio provinciale. La circoscrizione per l'elezione del Presidente della Provincia coincide con il territorio provinciale».

[10] d. l. 6 luglio 2012, n. 95, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, in G.U. 6 luglio 2012, n. 156, S.O.

[11] d. l. n.95/2012, art. 18, comma 1: «a garanzia dell'efficace ed efficiente svolgimento delle funzioni amministrative, in attuazione degli articoli 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, le Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria sono soppresse, con contestuale istituzione delle relative Città metropolitane, il 1° gennaio 2014, ovvero precedentemente, alla data della cessazione o dello scioglimento del Consiglio provinciale, ovvero della scadenza dell'incarico del commissario eventualmente nominato ai sensi delle vigenti disposizioni di cui al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, qualora abbiano luogo entro il 31 dicembre 2013».

[12] Corte Costituzionale, giudizio di legittimità costituzionale in via principale, Sentenza n. 220, depositata il 19 luglio 2013, in G.U. 24 luglio 2013; Norme impugnate: Art. 23, comma 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20-bis, 21 e 22 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 e artt. 17 e 18 del d. l. 6 luglio 2012, n. 95.

[13] Art. 114, coma 2, Cost.: «I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione».

[14] in http://www.upinet.it/docs/conferenze/2013/07/punto%207%20CU%2024%20luglio.pdf.

[15] Approvato dal Senato in prima deliberazione: favorevoli 183, contrari 0, astenuti 4, votanti 187, presenti 188. FONTE: http://www.senato.it

[16] Dalla Relazione al Disegno di legge Costituzionale A.S. n. 1429/2014, in http://www.senato.it

[17] Art. 24, Abolizione delle Province: «1. All'articolo 114 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «dalle Province,» sono soppresse;

b) al secondo comma, le parole: «le Province,» sono soppresse».

[18] Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nota n. 1/2014 ad oggetto: Legge 7 aprile 2014, n. 56. Chiarimenti in merito a talune problematiche sulle funzioni dei nuovi organi; Presidenza del Consiglio dei Ministri DAR 0014155 P-4 . 23 . 1 del 23 ottobre 2014, in http://www.affariregionali.it

[19] L'appello è sottoscritto dai seguenti professori ordinari di materie giuspubblicistiche: Gian Candido De Martin (Università Luiss Guido Carli - Roma), Francesco Merloni (Università di Perugia), Piergiorgio Alberti (Università di Genova), Laura Ammannati (Università di Milano), Enzo Balboni (Università Cattolica - Milano), Luigi Benvenuti (Università di Venezia - Cà Foscari), Mario Bertolissi (Università di Padova), Raffaele Bifulco (Università Luiss Guido Carli - Roma), Antonio Brancasi (Università di Firenze), Maria Agostina Cabiddu (Politecnico di Milano), Marcello Cecchetti (Università di Sassari), Vincenzo Cerulli Irelli (Università di Roma Sapienza), Omar Chessa (Università di Sassari),, Mario Pilade Chiti (Università di Firenze), Pietro Ciarlo (Università di Cagliari), Stefano Civitarese Matteucci (Univ."G. D'Annunzio" Chieti - Pescara), Guido Clemente di San Luca (II Università di Napoli), Francesco Clementi (Università di Perugia), Cecilia Corsi (Università di Firenze), Gianfranco D'Alessio (Università di Roma Tre), Mario Dogliani (Università di Torino) Carlo Emanuele Gallo (Università di Torino), Silvio Gambino (Università della Calabria), Maria Immordino (Università di Palermo), Aldo Loiodice (Università "Aldo Moro" di Bari), Isabella Loiodoce (Università "Aldo Moro" di Bari), Nicola Lupo (Università Luiss Guido Carli - Roma), Stelio Mangiameli (Università di Teramo), Guido Meloni (Università del Molise), Ida Nicotra (Università di Catania), Valerio Onida (Università di Milano), Giorgio Pastori (Università Cattolica - Milano), Aristide Police (Università di Roma Tor Vergata), Ferdinando Pinto (Università di Napoli "Federico II"), Alessandra Pioggia (Università di Perugia), Andrea Piraino (Università di Palermo), Paola Piras (Università di Cagliari), Aldo Sandulli (Università S. Orsola Benincasa - Napoli), Giovanni Serges (Università di Roma Tre), Fabio Severo Severi (Università di Trieste), Ernesto Sticchi Damiani (Università del Salento), Vincenzo Tondi della Mura (Università del Salento), Paolo Urbani (Università "G. D'Annunzio" Chieti - Pescara), Mauro Volpi (Università di Perugia).

[20] POGGI A., Sul disallineamento tra il ddl Delrio ed il disegno costituzionale attuale, 2014, in http://www.federalismi.it.

[21]PORTALURI P.L., Osservazioni sulle città metropolitane nell'attuale prospettiva di riforma, 2014, in http://www.federalismi.it.

[22] SALERNO G.M., Sulla soppressione-sostituzione delle province in corrispondenza all'istituzione delle Città metropolitane: profili applicativi e dubbi di costituzionalità, in http://www.federalismi.it.

[23] Il d. l. 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, all'art. 23, comma 15, disponeva che: «sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi durano in carica cinque anni»; la Corte Costituzionale, con sentenza 3-19 luglio 2013, n. 220 (in G.U. 24 luglio 2013, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale del presente comma.

[24] d. lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, in G.U. 18 marzo 1995, n. 65, S.O.

[25] L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, in G.U. n. 192 del 18 agosto 1990, articolo 21-bis Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati: «1. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati non avente carattere sanzionatorio può contenere una motivata clausola di immediata efficacia. I provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci».

[26] CASETTA E., Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2007, p. 457.

[27] Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 settembre 2014, n. 4758.

[28] GAROFOLI R., FERRARI G., Manuale di diritto amministrativo, Roma, NEL DIRITTO, 2009, p. 108.

[29] La Corte dei Conti, Sez. enti locali, 2 aprile 1993, n. 2, ammette la legittimità della delega conferita in base alle previsioni di legge solo implicita.

[30] L'obbligo della forma scritta della delega può essere desunta dalla L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in G.U. n. 214 del 12 settembre 1988 - S. O. n. 86, art. 9, comma 1, «1. All'atto della costituzione del Governo, il Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, può nominare, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ministri senza portafoglio, i quali svolgono le funzioni loro delegate dal Presidente del Consiglio dei ministri sentito il Consiglio dei ministri, con provvedimento da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale e art. 10, comma 3 «I sottosegretari di stato coadiuvano il ministro ed esercitano i compiti ad essi delegati con decreto ministeriale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale».

[31] Consiglio di Stato, Sez. V, 14 luglio 1978, n. 876.

[32] Consiglio di Stato, parere 12 luglio 1999.

[33] d. p. r. 24 novembre 1971, n. 1199, Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi, in G.U. n. 13 del 17 gennaio 1972

[34] Ad avviso del Consiglio di Stato il decorso del termine di novanta giorni previsto dall'art. 6 del d. p. r. 24 novembre 1971 n. 1199, entro il quale il ricorso gerarchico deve essere deciso dall'Autorità amministrativa, non ha effetti sostanziali ma processuali giacché abilita il ricorrente gerarchico a scegliere fra la proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento nei termini di decadenza, una volta formatosi il silenzio-rigetto, ovvero la proposizione dello stesso ricorso avverso la successiva decisione amministrativa, con la conseguenza che, anche se si è formato il silenzio-rigetto, l'Amministrazione non viene privata della potestà di decidere il ricorso gerarchico né il privato della legittimazione ad insorgere contro il provvedimento di rigetto dello stesso (C.d.S., Sez. III, 28 ottobre 2010, n. 3397.

[35] Il tema della qualità del linguaggio normativo che, in questo documento e secondo l'uso comune, viene definito con il termine inglese "drafting", si iscrive a pieno titolo nel più ampio problema della qualità della regolazione; ne rappresenta, infatti, un ambito di particolare rilevanza poiché dalla buona qualità del linguaggio delle leggi deriva una loro migliore e più sicura attuazione.

[36] L. 18 giugno 2009 n. 69, Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile, in G.U. 19 giugno 2009, n. 140, S.O.

[37] Nel 1986 i Presidenti delle Camere ed il Presidente del Consiglio dei Ministri emanarono, d'intesa fra loro, tre circolari di identico testo contenenti una serie di regole e raccomandazioni di carattere tecnico dirette a rendere più chiari e comprensibili i testi legislativi. Sulla base di una elaborazione tecnica svolta dagli Uffici del Senato e della Camera dei Deputati unitamente agli Uffici del Governo, a partire dallo studio sulle tecniche di redazione dei testi normativi ad opera della Commissione istituita presso il Dipartimento per i rapporti con il Parlamento della Presidenza del Consiglio dei ministri il 7 aprile 2000, si è provveduto ad un aggiornamento di tali prescrizioni. I Presidenti delle Camere ed il Presidente del Consiglio dei Ministri hanno congiuntamente adottato in data 20 aprile 2001 una «Lettera circolare sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecniche dei testi legislativi».

Le regole e raccomandazioni contenute nella nuova circolare si integrano con «le indicazioni sull'istruttoria legislativa in commissione», presenti nelle circolari dei Presidenti delle Camere del gennaio 1997.

[38] Circolare del 10 gennaio 1997 sulla istruttoria legislativa nelle commissioni, p. 1.

[39] L. ZANDA, «Le leggi? Scriviamole in italiano», in Il Sole24Ore, 22 maggio 2011, p. 10. Vedi anche ZACCARIA R., (a cura di), La buona scrittura delle leggi, Roma, Camera dei Deputati, 2012, p. 12.

[40] SPADONE L., Il Presidente della Provincia tra la soppressa Giunta e il nuovo Consiglio. Prime linee operative, in http://www.diritto.it/docs/36666-1-56-2014-il-presidente-della-provincia-tra-la-soppressa-giunta-e-il-nuco-consiglio-prime-brevi-linee-opoerative; pubblicato dal 13 novembre 2014 in diritto.it; dello stesso tenore OLIVERI L., Province: il Presidente assorbe le competenze della soppressa Giunta, pubblicato il 1° ottobre 2014 in http://www.leggioggi.it/2014/10/01/province-presidente-assorbe-competenze-soppressa-giunta/.

[41] l. r. 14 febbraio 2014, n. 2, Disciplina delle elezioni provinciali e modifica all'articolo 4 della legge regionale 3/2012 concernente le centrali di committenza, in BUR 8 - 19 febbraio 2014.

[42] L. n. 56/2014, art. 1, comma 67: «Il Consiglio provinciale è composto dal Presidente della Provincia e da sedici componenti nelle Province con popolazione superiore a 700.000 abitanti, da dodici componenti nelle Province con popolazione da 300.000 a 700.000 abitanti, da dieci componenti nelle Province con popolazione fino a 300.000 abitanti.

[43] L. n. 56/2014, art. 1, comma 68: «Il Consiglio provinciale dura in carica due anni».

[44] L. n. 56/2014, art. 1, comma 59: «Il Presidente della Provincia dura in carica quattro anni».

[45] Vedi a tal proposito SERGIO L., Province: ordinanza Tar Friuli Venezia Giulia 15 ottobre 2014. Incostituzionali le elezioni di secondo grado delle Province, in studiocataldi.it; SERGIO L., Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso presentato dalla Regione Friuli Venezia Giulia contro la sentenza del TAR di Trieste che congelava il voto del 26 ottobre per la trasformazione della Provincia di Pordenone in ente di secondo grado, in studiocataldi.it.

[46] Cfr. FABBRIZZI F., La Provincia: storia istituzionale dell'ente più discusso. Dalla riforma Crispi all'Assemblea Costituente, in federalismi.it n. 13/2008, p. 19 e ss.

[47] VANDELLI L., I progetti di riforma dell'ordinamento delle autonomie locali, in http://www.regione.emilia-romagna.it/affari_ist/supplemento_2_10/Vandelli.pdf.


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