"Separarsi si, ma senza farsi male". Questo è il filo conduttore che mi accompagna quando nel mio studio si rivolgono i coniugi per separarsi.

Spiego loro che la separazione è sì un atto doloroso della vita che non significa però fallimento, distruzione, ma un cambio di vita determinato dal venir meno di quell'affectio coniugalis che un tempo li legava. Se è vero che la separazione è dolorosa, lo è ancor di più vivere in una famiglia infelice, conflittuale, scombinata,  sofferente … in una famiglia in apparenza integra, ma in realtà separata.

Viviamo in una società in continuo cambiamento; infatti il concetto tradizionale di famiglia si accompagna attualmente ad un concetto di famiglia allargato, direi trasformato che include unioni anche dello stesso sesso, legalizzate in vari Stati. Di conseguenza anche il diritto di famiglia ha dovuto adeguarsi ai tempi, anche se nel nostro ordinamento giuridico non è ancora prevista alcuna normativa in merito.

Molti mi chiedono che penso del matrimonio. Rispondo: "Credo nell'amore, nella famiglia … finchè dura". Quando purtroppo si giunge al capolinea dell'amore penso che la soluzione migliore sia quella di prendere strade diverse nel reciproco rispetto, senza farsi del male. E quando ci sono figli? La situazione diventa più difficile da gestire perché maggiori sono le responsabilità. E' proprio in questo momento che entra in gioco il ruolo del buon avvocato. Consiglio di nascondere il malumore, cerco, tento di farli ragionare civilmente precisando che al primo posto vengono i figli. Prospetto loro che la soluzione migliore, in assenza di conflitto, è quella di mantenere inalterato l'ambiente in cui i figli hanno vissuto operando, se la casa coniugale lo permette, una divisione in modo da ricavarne due unità abitative (cosiddetto "nesting": ossia la conservazione del nido). In questo modo la casa in cui la famiglia ha vissuto viene conservata, non viene venduta, né svuotata dei ricordi della vita passata.  E ancora, il coniuge non collocatario ha la possibilità di stare più vicino ai figli. Ma a trarre maggior vantaggio da questa soluzione sono i figli i quali continuano a mantenere i loro ritmi di vita e cioè la scuola, gli amici, gli svaghi … ciò per evitare agli stessi quel malessere psico - fisico che può derivare da un inaspettato cambiamento dello stile di vita.

E' bene quindi trovare un accordo e non utilizzare i figli come oggetti, come ricatto, ma comportarsi sempre civilmente per evitare che soffrano.

Spiego, ancora, che "separazione" non significa necessariamente la fine della famiglia perché, nonostante le vite si dividano, è possibile mantenere un sincero affetto reciproco partecipando - ad esempio - entrambi agli eventi più importanti della vita dei figli anche se, nella maggior parte dei casi, è difficile ottenere questo, infatti separarsi diventa una guerra per molti, sia dal lato affettivo che economico.

Nei casi di maggior conflitto anche il mio lavoro diventa più pesante e, in questo caso, accanto all'applicazione della Legge, che è il mio primo punto di riferimento, devo appoggiarmi anche alla tecnica del problem solving cercando di trovare la soluzione migliore. Preciso che la cosa più importante è avere sempre rispetto dell'ex coniuge davanti ai figli; mai parlare male o diffamare. Dico loro: " Ricordatevi siete persone adulte ed è importante comportarsi come tali ".

Così concludo: Separarsi sì, ma senza farsi del male. Al coniuge che si rivolge al mio studio dicendomi " Voglio rovinare il mio ex, punirlo nel peggiore dei modi" con eleganza rispondo " Non si è rivolto allo studio giusto."

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