di Marco Massavelli  - La confessione sulla dinamica del sinistro stradale, se sottoscritta dal difensore, può costituire solo elemento indiziario di giudizio. 

È il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione civile con la sentenza n. 6192 del 18 marzo 2014, chiamata a intervenire in una fattispecie riguardante il risarcimento dei danni subiti dai parenti della vittima di un sinistro stradale.
In particolare, i giudici di legittimità hanno precisato che affinchè "le dichiarazioni contenute negli atti processuali di parte possano acquisire il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea ex art.229 cod.proc.civ. occorre che esse siano state sottoscritte personalmente dalla parte con modalità tali da rivelare inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli contenute dell'atto medesimo (animus confitendi)".
Qualora, invece, come nel caso di specie, le dichiarazioni siano sottoscritte unicamente dai rispettivi difensori che avevano redatto gli atti, sulla base della semplice firma della procura alle liti, alle stesse non può essere imputato il valore di "una vera e propria volontà confessoria della parte", dal momento che la mera sottoscrizione della procura, "indipendentemente dal fatto che sia apposta a margine o in calce all'atto difensivo (ovvero sullo stesso foglio contenente le dichiarazioni rilevanti), costituisce atto collegato ma pur sempre giuridicamente distinto da quest'ultimo e dal suo contenuto espositivo".
Tuttavia, ha specificato la Corte, le dichiarazioni contra, pur non avendo efficacia di confessione giudiziale, poiché non ne presentano né i requisiti oggettivi né soggettivi, ove contenute in un atto processuale di parte, possono "fornire elementi indiziari di giudizio".
Nel caso di specie, la Corte di appello, aldilà della terminologia impropriamente usata, fondata effettivamente sull'erronea attribuzione di natura confessoria giudiziale alle dichiarazioni sulla dinamica del sinistro svolte dagli attori negli atti introduttivi del giudizio (non essendo le stesse sottoscritte dalle parti medesime ma dai rispettivi legali redattori degli atti), ha comunque fondato il proprio convincimento in ordine alla dinamica del sinistro stradale con conseguenti lesioni mortali per uno dei protagonisti, sulla base di quella fatta propria dal giudice di primo grado.
Alla stregua della ricostruzione della dinamica operata dagli organi di polizia intervenuti per i rilievi (che avevano stabilito che un veicolo, per evitare di sbandare sul pietrisco, invadeva la corsia di marcia in senso opposto andando ad urtare un autocarro che circolava regolarmente e che, a seguito dell'urto, la passeggera dell'autoveicolo veniva sbalzata fuori e investita mortalmente da altro autoveicolo che sopraggiungeva subito dopo la collisione e che seguiva l'autocarro) e degli altri elementi probatori risultanti dagli atti introduttivi del giudizio, ivi comprese le dichiarazioni rese dagli attori, il Tribunale si limitava ad interpretare tali atti, senza attribuire efficacia "ammissiva" ma traendone mero argomento indiziario di convincimento. Argomentava, perciò, in ordine all'individuazione delle singole responsabilità, che il sinistro mortale era stato provocato dalle condotte colpose dei due autoveicoli (il primo per aver proceduto a velocità non adeguata e invaso l'opposta corsia di marcia; il secondo per aver omesso di mantenere la distanza di sicurezza dall'autocarro che lo precedeva viaggiando a velocità non adeguata alle concrete condizioni di visibilità della strada), rilevando, altresì, la sussistenza, nell'eziologia dell'evento dannoso, del concorso di colpa della vittima del sinistro, sull'assunto che la stessa, venendo sbalzata fuori dalla propria autovettura in conseguenza dell'urto, non indossasse la prescritta cintura di sicurezza.
La Corte d'Appello confermava integralmente la statuizione di primo grado, formando quindi il proprio convincimento sulla base della interdipendenza valutativa di due elementi probatori: da un lato, l'efficacia, seppur non confessoria, comunque attribuibile, nel quadro istruttorio alle dichiarazioni delle parti contenute negli atti introduttivi del giudizio; dall'altro, le risultanze del procedimento penale concluso con sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. (ipotesi di responsabilità da cui trarre contributo indiziario, nell'iter di formazione del convincimento decisionale del giudice civile).
La S.C. pertanto, sulla base dell'argomentata ratio decidendi del giudice di appello, incensurabile in sede di legittimità, ha rigettato i ricorsi, confermando la quantificazione del danno morale sofferto dagli attori per la morte del congiunto "al netto della parte imputabile al concorso di colpa della vittima (30%) e condannando i ricorrenti alla rifusione delle spese processuali.
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