"Intervenuto il divorzio, cui non segua - come nella specie non è seguita - alcuna ricomposizione di una relazione e consuetudine di vita improntata a rapporti di assistenza e solidarietà reciproche, deve ritenersi cessato ogni presupposto per la configurabilità del reato di maltrattamenti".

Ad affermarlo è la Suprema Corte di Cassazione, Sezione VI, con la sentenza n. 50333 del 13 dicembre 2013.

Il reato di maltrattamenti in famiglia, tipico delitto contro la famiglia, seppure oggi esteso a situazioni ben lontane dall'idea tradizionale di "famiglia", presuppone quale elemento minimo, tipico ed imprescindibile, l'esistenza di un rapporto, di una  consuetudine o di una relazione abituale dalla quale derivino sentimenti di umana solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale.

La stessa Corte, ha più volte affermato che il reato di maltrattamenti in famiglia è tale anche in relazione ad ipotesi di c.d. "famiglie di fatto" ed in particolare, alle ipotesi in cui la condotta criminosa fosse commessa ai danni di una persona convivente more uxorio, "atteso che il richiamo contenuto nell'art. 572 c.p. alla "famiglia" deve intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo" (sez. VI 08/20647). Il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di una persona legata all'autore della condotta da una relazione sentimentale che abbia comportato un'assidua frequentazione, trattandosi di un rapporto abituale tale da far sorgere sentimenti di umana solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale (sez. V 10/24688); e anche nei casi in cui la degenerazione dell'azione delittuosa colpisca persone legate all'agente da un rapporto di dipendenza o per lo svolgimento di una professione o arte.

Non è, dunque, la convivenza l'elemento discriminante, quanto piuttosto, l'esistenza e la permanenza di un rapporto qualificato, improntato a doveri e sentimenti di solidarietà, assistenza morale e materiale, qualunque ne sia la l'origine. La cessazione del rapporto di convivenza non influisce sulla configurabilità del reato de quo, la cui consumazione ben può aver luogo, nei confronti di persona non convivente con l'imputato quando essa sia unita all'agente da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione. (sez. VI 99/3570,  sez. VI 08/26571).

Se tutto ciò è vero,  non basta ad escludere l'esistenza di un simile reato, l'intervento della separazione o del divorzio, se la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della fattispecie, ossia se, ciononostante restino integri i doveri di solidarietà, rispetto reciproco, assistenza morale e materiale, quali quelli nascenti dal rapporto coniugale o dal rapporto di filiazione. Se al contrario, invece, intervenuto il divorzio, non segua - come nella specie non è seguita - alcuna ricomposizione di una relazione e consuetudine di vita improntata a rapporti di assistenza e solidarietà reciproche, non può che ritenersi cessato ogni presupposto per la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia".

Qui di seguito un estratto della motivazione della sentenza:

"Propone ricorso per cassazione il prevenuto, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, posto che:

a. - sono state erroneamente valutate le risultanze probatorie in relazione in particolare alla sussistenza del requisito oggettivo e soggettivo del reato ex art. 572 c.p.. Costituito dall'abitualità delle condotte vessatorie;

b. - non si è tenuto conto che con il divorzio cessa ogni presupposto per la configurabilità di tale reato;

c. - si è ritenuta senza adeguata motivazione la sussistenza del reato di minaccia grave, comunque assorbito in quello di maltrattamenti, ed estinto, ove privo della gravità, per intervenuta remissione di querela;

d. - è stato ritenuto sussistente senza motivazione il reato di molestie, per il quale è stata anche applicata, come aumento ex cpv.

art. 81 c.p., la pena della reclusione in luogo di quella dell'arresto.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei limiti e per i motivi di cui appresso. Si osserva, invero, in ordine alle doglianze di cui sopra:

- sub 3.a., che, contrariamente a quanto in essa assunto, dalla congiunta motivazione delle sentenze di merito, risulta una articolata e corretta analisi delle molteplici risultanze probatorie, sulla cui base si è non illogicamente ritenuta la sussistenza del requisito oggettivo e soggettivo del reato ex art. 572 c.p., costituito dall'abitualità delle condotte vessatorie;

- sub 3.b., che effettivamente con l'intervenuto divorzio, cui non segua - come nella specie non è seguita - alcuna ricomposizione di una relazione e consuetudine di vita improntata a rapporti di assistenza e solidarietà reciproche, deve ritenersi cessato ogni presupposto per la configurabilità del reato di maltrattamenti (cfr. sul punto Sez. 6, n. 24575 del 24/11/2011 - dep. 20/06/2012, Frasca, Rv. 252906);

- sub 3.c, che effettivamente, per le contestate minacce, tenuto conto, per alcune, della loro genericità e, per altre, più specifiche, del contesto in cui vennero profferite (in presenza, cioè, di altre persone), non appare sussistere il connotato della gravità;

- sub 3.d., che trattasi di doglianza del tutto generica in punto responsabilità (tenuto conto di quanto esposto nella richiamata motivazione della sentenza di primo grado) e palesemente infondata, alla stregua della giurisprudenza ormai consolidata, in punto applicazione, come aumento ex cpv. art. 81 c.p., di pena omologa a quella prevista per il reato più grave.

Da quanto sopra discende che:

- deve escludersi il reato ex art. 572 c.p., per il periodo successivo all'11.07.2003 (con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata sul punto), mentre va ritenuto sussistente per il periodo anteriore;

- in mancanza della gravità, il reato ex art. 612 c.p., deve ritenersi estinto per intervenuta remissione di querela (con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata sul punto);

- per il reato ex art. 610 c.p., verificatosi dopo il divorzio (e precisamente in data 16.08.2006), deve essere esclusa l'aggravante teleologica (con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata sul punto);

- restano per il resto confermati nella loro sussistenza, in quanto non oggetto di ricorso ovvero di motivi non inammissibili (con conseguente preclusione di qualsiasi ulteriore rilevazione anche d'ufficio), i reati ex artt. 610 e 660 c.p.."


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Dott.ssa Sabrina Caporale - sabrinacaporale87@gmail.com - tel. 329/3837427
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