Avv.Barbara Pirelli in collaborazione con il Dott. Emanuele Mascolo - Cosa accadrebbe se dopo la separazione dovessero risulatare accreditati sul conto corrente intestato al marito alcuni depositi e partecipazioni a società costituite dopo il matrimonio? Questo è un caso tipico di "comunione de residuo" in cui l'attivo della massa comune si arricchisce proprio nel momento in cui il vincolo di solidarietà tra i coniugi si allenta con la separazione personale dei coniugi. Il caso in esame e' piuttosto complesso dunque è necessario fare alcune precisazioni: con la separazione personale dei coniugi si ha lo scioglimento della comunione legale (art.191 c.c.). La cessazione del regime della comunione si verifica con efficacia ex nunc, dunque non retroattiva, al momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell'omologazione da parte del Tribunale . Dunque, ne consegue che il valore degli incrementi patrimoniali conseguiti post-nuptias dall'altro coniuge è, appunto, differito al momento della separazione e non ad epoca successiva. In buona sostanza il coniuge non potrà chiedere giudizialmente di ottenere la compartecipazione a somme che siano versate sul conto corrente intestato all' altro coniuge, in una data successiva allo scioglimento della comunione. Del caso in argomento si è recentemente occupata la Cassazione con la sentenza del 20 marzo 2013 n. 6876 che afferma: "La dedotta violazione di legge non sussiste, avendo la sentenza impugnata fatto esatto riferimento alla data dello scioglimento della comunione, quando risultava accreditato sul conto corrente (intestato al marito) l'importo attribuito per la metà alla C. . In realtà la ricorrente incidentale sollecita questa Corte ad un inammissibile riesame dei fatti già valutati dai giudici di merito, i quali, con motivazione incensurata in questa sede, hanno escluso la possibilità di tenere conto del maggiore importo che risultava accreditato in data successiva al 21 gennaio 1997, data di scioglimento della comunione." La storia giudiziaria vede come protagonista una donna che conviene in giudizio l'ex marito chiedendo lo scioglimento della comunione legale dei beni, nella quale assume che rientrino alcuni depositi su conti correnti bancari e partecipazioni a società costituite dopo il matrimonio. All'esito dei due giudizi di merito, viene riconosciuto il diritto della donna a percepire l'importo di 73.515 euro, oltre interessi legali, corrispondente alla metà del valore della quota spettante all'ex marito, stimata al momento dello scioglimento della comunione. Il marito, dunque, ricorre in Cassazione mentre la moglie presenta un ricorso incidentale alla Corte sostenendo che la stessa non possa riesaminare fatti già valutati dai giudici di merito, i quali, con motivazione incensurata in questa sede, hanno escluso la possibilità di tenere conto del maggiore importo che risultava accreditato in data successiva al 21 gennaio 1997, data di scioglimento della comunione." Due i motivi di ricorso in cassazione: 1) per falsa applicazione dell'art. 178 c.c., 2) per vizio di insufficiente motivazione in ordine al riferimento temporale cui ancorare la quantificazione del credito azionato. Entrambi i motivi sono stati considerati dalla Suprema Corte infondati, che sul primo motivo così si esprime: " nella fattispecie considerata nell'art. 178 c.c., sebbene il coniuge non destini dei beni "all'esercizio dell'impresa", ma all'acquisto di una partecipazione in una società e sarà quest'ultima (e non il singolo coniuge) ad esercitare l'impresa, la dottrina prevalente, evidenziando l'identità di ratio, condivisibilmente ritiene che la quota societaria del coniuge non cada in comunione legale ex art. 177 lett. a) c.c., ma appunto in quella ex art. 178 c.c.".Tuttavia il ricorrente aveva però sostenuto che l'altro coniuge nulla avrebbe potuto concretamente vantare se il valore della partecipazione societaria fosse risultato pari a zero nel momento della futura liquidazione o estinzione della società. In altri termini, quello che avrebbe potuto essere acquistato dal coniuge non socio, al momento dello scioglimento della comunione, sarebbe stato solo un credito virtuale alla eventuale e futura liquidazione della quota societaria.  



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