Prof. Avv. Carlo Bruno VANETTI
1. Gli strumenti introdotti dal legislatore per favorire la continuità d'impresa;
2. Nuovi doveri o mere opportunità per gli organi societari ?
3. L'affitto dell'azienda in crisi.

I. Gli strumenti introdotti dal legislatore per favorire la continuità d'impresa

I.1 - La Legge Fallimentare del 1942 non si occupava della continuità dell'attività d'impresa e della conservazione dell'azienda in crisi,.

L'azienda in difficoltà era destinata ad essere estromessa dal mercato: l'esercizio provvisorio (art.90 LF ante riforma) era visto in funzione meramente liquidatoria; l'amministrazione controllata ed il concordato erano destinati solo all'imprenditore meritevole, e prescindevano da qualunque attenzione per la sorte dell'attività d'impresa nel suo complesso.

Il fallimento, era ancora improntato ad una prospettiva essenzialmente sanzionatoria ("decoctus, ergo fraudator").

Si dubitava, addirittura, che fosse possibile cedere o affittare l'azienda come bene unitario, nell'ambito di una procedura concorsuale (ci sono voluti i libri di Carlo Maria Rivolta e di Giovanni Emanuele Colombo, per far mutare l'indirizzo della giurisprudenza).

I.2 - A livello legislativo, la attenzione per la "continuità" dell'attività d'impresa, a prescindere dalla sorte dell'imprenditore, emergeva solo con le leggi degli anni ‘70 sui salvataggi industriali e con la legge Prodi del 1979 sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, cui ha fatto seguito il decreto legislativo 270/1999, che regola tuttora l'istituto (affiancata dalle successive leggi occasionate dai dissesti Parmalat e Alitalia).

Si tratta comunque di procedure rivolte alle grandi imprese, con 200 o più lavoratori, il cui recupero mira principalmente alla salvaguardia dei livelli occupazionali, seppur tramite un programma di ristrutturazione o di cessione aziendale, con "prosecuzione dell'esercizio dell'impresa" (art.27 D.Lgs.270/1999).


I.3 - Solo all'inizio degli anni 2000, si inizia a favorire la continuità aziendale anche per la media e piccola impresa insolvente.

Già la riforma del diritto societario del 2003 assumeva un approccio favorevole alla prosecuzione dell'attività pur in presenza di cause di scioglimento (la più tipica e ricorrente causa di scioglimento delle società è la perdita del capitale sociale, normale compagna dell'insolvenza): veniva così

(a) abolito il divieto di nuove operazioni (con responsabilità personale degli amministratori), sostituendolo con l'obbligo di una gestione conservativa, ossia di gestire la società ai fini "della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale" (art. 2486, comma 1, c.c.), in attesa delle decisioni circa la ricapitalizzazione o la nomina di un liquidatore;
(b) prevista la possibilità di esercizio provvisorio della società in liquidazione (art. 2487, comma 1, lett. c),nell'ambito di un "piano di liquidazione" ; ed espressamente
(c) eliminato, nell'art. 2448 c.c., il riferimento al fallimento quale causa di scioglimento della società.


I.4 - Si giunge così alla riforma "organica" delle procedure concorsuali del 2005-2007 ed alla chiara ed esplicita emersione dell'interesse dell'ordinamento per la conservazione dei valori aziendali.

E ciò, non solo nell'interesse generale dell'economia, dei dipendenti, dei collaboratori, agenti, distributori, ma anche dello stesso ceto creditorio, o almeno della parte che sia interessata al contempo alla prosecuzione dei rapporti (solitamente di fornitura o di finanziamento) con l'impresa investita dalla crisi.
Va così ricordato,
a) per il fallimento, il favore per la
- vendita dell'azienda in blocco (art.105 LF), per l'
- esercizio provvisorio dell'impresa fallita, anche per singoli rami, con la prosecuzione automatica (anziché la normale sospensione) dei contratti pendenti (art.104 LF) e, specialmente, per l'
- affitto d'azienda nel fallimento (artt.104-104ter).
Sino al punto, per l'affitto, di precisarne le principali clausole contrattuali (art.104bis);
Al contempo, sempre al fine di favorire la continuità dell'impresa, sempre nel fallimento, si interveniva su altri fronti: le
- azioni revocatorie, per le quali sono state previste (art.67 LF) limitazioni del periodo sospetto ed esenzioni per i pagamenti nei termini d'uso, tese a favorire la prosecuzione di normali rapporti commerciali e finanziari con l'impresa in crisi; o la
- riforma del concordato fallimentare (art.124 LF), l'accesso al quale viene per vari aspetti reso più agevole.

Al contempo, il legislatore del 2005-2007 introduceva
b) nuovi strumenti o rafforzava procedure esistenti, intese ad operare come barriera preventiva al fallimento ed in genere alla disgregazione dei valori aziendali.
Ci riferiamo evidentemente a:
- gli accordi di ristrutturazione disciplinati dall'art. 182-bis l.f.,
- i piani di risanamento previsti dall'art. 67, comma 3, lett. d), l.f,
- le modifiche al concordato preventivo.
In particolare, per il nuovo
c) concordato preventivo, come delineato con le riforme del 2005-2007, ricordiamo l'
- indicazione della mera crisi come presupposto oggettivo e la richiesta di un
- piano o programma (di risanamento o di liquidazione),
- la cui fattibilità sia supportata dalla attestazione di un esperto aziendalista; l'
- abolizione dei requisiti di meritevolezza e
- della percentuale minima del 40% per i chirografari; la
- riduzione da 2/3 al 50% del quorum di crediti richiesto ai fini dell'approvazione della procedura (e l'abolizione del contemporaneo quorum per teste);la
- possibile divisione in classi dei creditori; la
- possibilità di pagamento non integrale dei privilegiati; l'
- abolizione della rigida alternativa tra concordato con garanzia e con cessio bonorum.
Elementi, questi, già indicatori della destinazione assegnata dal legislatore del 2005.2007 al concordato preventivo: ossia rivestire, nell'ambito delle procedure concorsuali, il ruolo centrale una volta spettante al fallimento, svolgendo al contempo anche le funzioni di risanamento già (senza successo) affidate all'amministrazione controllata, al contempo abrogata.
In realtà, come sappiamo, la riforma, ancorchè chiamata "organica", nel suo iter legislativo tale era rimasta solo nel titolo (tant'è che lo stesso relatore, Vietti, l'aveva chiamata "riforma spezzatino"): in particolare non si era trovato l'accordo sulle cosiddette "procedure di allerta" e sull'obbligo di segnalare al tribunale i primi sintomi di crisi, con simmetrica predisposizione di idonee strutture di assistenza e intervento da parte dell'Autorità Giudiziaria.
Aveva prevalso la bandiera ed il mito della possibile "privatizzazione" della soluzione delle crisi d'impresa, di fatto lasciata alle volontà del sistema bancario e dello stesso debitore.
Tant'è che anche la attivazione delle nuove competenze dei Tribunali delle Imprese, con strutture specializzate, non si estende alle procedure concorsuali.

Ma torniamo al concordato.
Per il concordato preventivo, negli anni successivi alla riforma, i dati hanno fatto emergere che la modalità nettamente prevalente ha continuato ad essere rappresentata da concordati liquidatori, che si propongono tendenzialmente lo smembramento dell'azienda e la liquidazione dei beni, ed in cui pertanto anche la vendita unitaria dell'azienda o di suoi rami non è in alcun modo agevolata.

La ragione di ciò, essenzialmente, sta nel fatto che di regola si è ricorsi al concordato solo nelle situazioni più critiche, di conclamata insolvenza, sostanzialmente prive di possibilità di rilancio dell'impresa.

Inevitabilmente, il concordato ha così continuato a rappresentare uno strumento diverso ma con finalità non troppo dissimili dal fallimento; utilizzato non ai fini del rilancio dell'impresa ma semplicemente quale modalità più rapida, e ragionevolmente più vantaggiosa, del fallimento.

Si aggiunga che, al contempo, si è riscontrata una scarsissima utilizzazione degli accordi ex art.182-bis (e, a quanto risulterebbe, dei piani attestati ex art.67, 3°comma, lettera d, LF; piani peraltro non soggetti a pubblicità).


I.5 - A fronte di questa situazione, e del sempre più ampio diffondersi delle crisi aziendali, a metà del 2012 è intervenuto il cosiddetto Decreto Sviluppo, cioè il Decreto Legge 22 giugno 2012, n.83 (convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n.134), in vigore dall'11 settembre 2012.

• Il Decreto Sviluppo, introduce, ancora una volta, nuove opportunità per l'impresa in crisi (nel suo capo III, "Misure per facilitare la gestione delle crisi aziendali", all' art.33 , "Revisione della legge fallimentare per favorire la continuità aziendale").
• In tal modo ha voluto compiere un altro tentativo di indirizzare le imprese sulla strada, già aperta dalla riforma societaria e da quella fallimentare, della tutela della continuità aziendale, nell'intento di contribuire a frenare, "dal basso", il degrado dell'economia.
Ricordiamo brevemente tali misure:
1) Anzitutto, ha voluto creare una sorta di zona di sicurezza (si parla di safe harbour), per consentire al debitore di perfezionare il piano concordatario, senza timore di azioni esecutive o istanze di fallimento (automatic stay): e ciò tramite l'accesso accelerato alle normali tutele del concordato preventivo, reso possibile separando la domanda (o ricorso) dalla effettiva proposta di accordo e piano di risanamento o liquidazione.
Si tratta del cosiddetto pre-concordato (o concordato in bianco, o con riserva), di cui all'art.161, 6°comma, LF, a mente del quale il debitore "può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione" , od eventualmente un accordo ex art.182-bis, entro un termine fissato dal giudice compreso tra sessanta e centoventi giorni (prorogabili di altri 60).
Al contempo prevede che la domanda sia subito iscritta al Registro delle Imprese e da tale momento - o dalla contestuale iscrizione - decorrano tutti i principali effetti della normale proposta (divieto di azioni esecutive -e, ora, cautelari- , divieto di pagamenti, interruzione degli interessi, divieto di atti di gestione straordinaria non autorizzati, decorrenza a ritroso del periodo sospetto per eventuali future revocatorie).
Va subito notato che, con una palese contraddizione, che rivela la scarsa fiducia sulla reale efficacia delle nuove misure, la gran parte dei vantaggi si manifesta solo se in realtà il concordato abortisce e subentra il fallimento.
2) Il legislatore, non solo vuole tenere separate le sorti dell'azienda da quelle dell'imprenditore, bensì vuole eliminare quel legame che, tramite la tutela unitaria del capitale, ancora connetteva le sorti della società con quelle dei suoi beni.
Significativo a tal fine l'articolo 182-sexies, che disciplina la "riduzione o perdita del capitale della società in crisi" in deroga alla normativa civilistica, sospendendo l'obbligo,di cui agli articoli 2447, 2482-ter e 2484,n.4, di liquidare la società, se non immediatamente ricapitalizzata.
Si può dire che il legislatore del 2012 cerchi di far emergere una nozione ristretta di azienda, che tende a non coincidere più, non solo con quanto appartiene alla persona fisica dell'imprenditore (che ha sempre anche dei beni personali, e può essere titolare di più aziende distinte), ma neppure con tutto quanto appartiene alla società come soggetto collettivo o persona giuridica.
In sostanza, autorizza e favorisce una sorta di scissione o "spacchettamento", al contempo preoccupandosi sempre meno del principio di pari trattamento dei creditori di cui all'art. 2741 c.c. [come vi illustrerà poi l'avv.Romano].
L'art.104 LF, in tema di esercizio provvisorio nel fallimento, e l'art.105, 1°c., LF, relativo alla vendita dei beni del fallito, considerano ancora l'insieme del patrimonio della società come una entità unitaria, solidale per natura alla società stessa ed al suo oggetto: i beni aziendali vengono venduti unitariamente solo perchè si possa realizzare il massimo di soddisfazione dei creditori, o almeno a condizione che non si pregiudichino le loro ragioni.
Ora invece si tende ad accertare quali beni siano "azienda" in senso tecnico ("beni organizzati"per l'esercizio dell'impresa, ex artt. 2555 e 2082 c.c.), e quali non lo sono, per cui vanno, diciamo, rottamati.
Si prende atto del fatto che, anche per le società, non tutti i beni originariamente destinati all'esercizio dell'impresa sono azienda, ma solo quelli ancora in grado di generare nuova ricchezza, e di soddisfare bisogni altrui.
Si accentua la possibilità di attribuire una posizione di privilegio ai fornitori strategici ed i finanziatori, ancorchè al contempo soci, consentendo, anche prima dell'effettiva presentazione del piano ed ammissione al concordato, di attribuir loro una posizione preferenziale rispetto ai normali creditori
3) Vengono dettate, così, sempre al fine di agevolare la prosecuzione dell'attività, norme tese a consentire, in regime di prededuzione, il pagamento dei fornitori (se vi sia continuità aziendale) e la erogazione di nuovi finanziamenti , da parte di chiunque ed anche in corso di concordato (c.d. finanza interinale) - e non solo in funzione o in esecuzione del concordato stesso - : uniche condizioni la autorizzazione od omologa del tribunale e l'attestazione dell'esperto circa l'utilità per realizzare il piano e per la miglior soddisfazione dei creditori.
Ma su questi punti tornerà, illustrandoli con slide, la collega avv. Patrizia Romano.
4) A completare il quadro, viene poi introdotto l'articolo 186-bis, che individua, ancorchè in modo embrionale, la nuova nozione di "concordato con continuità aziendale", facendovi rientrare anche forme in precedenza considerate come liquidatorie, ossia la cessione ed il conferimento a terzi dell'azienda in esercizio (nuovi articoli 186-bis [composto di 6 corposi commi] e 182-quinquies, 4°comma, LF).

I.6 - Per quanto riguarda il concordato con continuità aziendale, secondo le intenzioni del legislatore, il debitore dovrebbe, nel presentare il ricorso per concordato preventivo, "anche ai sensi dell'articolo 161, sesto comma", dichiarare che la soluzione della crisi avverrà anche facendo affidamento sulle risorse derivanti dall'attività futura dell'azienda stessa.
In sostanza, si dovrebbe trattare di una crisi essenzialmente finanziaria: si può isolare un' attività tipica dell'impresa in cui i ricavi ordinari superano i costi inerenti, funzionali all'attività stessa (il Margine Operativo Lordo o MOL, o meglio il reddito operativo - ossia il MOL caricato anche degli ammortamenti - sono di segno positivo).
Al contempo, si possono liquidare beni "non funzionali all'esercizio dell'impresa" (art.186-bis, 1°comma, in fine): beni che dovrebbero comunque costituire una parte minore del patrimonio del debitore.
In coerenza con questa scelta, la relazione del professionista ex art.161,3°comma, che deve accompagnare il piano e la proposta definitiva ex art. 161, 2°comma, lettera e), deve anche attestare che "la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori". Ossia che, proseguendo l'attività (ed avendo al contempo congelato i pagamenti dei vecchi debiti) si potrà ottenere credito dalle banche e dal mercato e soddisfare meglio il prevedibile fabbisogno concordatario: tant'è che in questi casi il piano dovrà prevedere analiticamente (e l'esperto attestare) "un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura".
Al fine di realizzare questa auspicata ripresa di fiducia nell'impresa in crisi, alla scelta di puntare sulla continuità aziendale si collegano alcuni effetti in deroga alle normali regole del concordato:
1) Possono essere pagati subito e integralmente debiti scaduti prima del concordato "per prestazione di beni o servizi". Di regola, a condizione che vi siano una attestazione speciale e l'autorizzazione del tribunale (l' attestatore deve dichiarare che le prestazioni così pagate - ed evidentemente la loro prosecuzione - sono "essenziali" per la prosecuzione dell'attività e "funzionali" alla miglior soddisfazione dei creditori); senza neppure l'attestazione, se i pagamenti vengono fatti tramite finanziamenti di scopo ricevuti ad hoc, a fondo perduto o convenzionalmente postergati.
2) I creditori privilegiati possono vedersi rinviato il pagamento non solo (come nel normale concordato) sino all'omologa, ma per un ulteriore anno (senza al contempo venire ammessi al voto per tale ulteriore compromissione dei loro diritti acquisiti), sempre che ciò sia poi contenuto nel piano di concordato;
3) Non hanno effetto le clausole, normalmente contenute nei contratti di durata, secondo cui in caso di procedura concorsuale o ritardo nei pagamenti il contratto si risolve (in tal modo viene pienamente estesa al concordato la facoltà di scelta del debitore, come per il curatore fallimentare) e addirittura
4) Non si applicano le norme in tema di scioglimento di appalti e concessioni pubbliche e di divieto di ottenere nuovi appalti (in questi casi, è tuttavia necessaria una ulteriore specifica attestazione dell'esperto e, per il caso di nuova assegnazione - anche in raggruppamento temporaneo, purchè non come capofila -, la assunzione di un "avvalimento" da parte di un'altra impresa, pronta a subentrare all'occorrenza a quella in concordato).
Significativo che, per queste ultime ipotesi, si precisa che "di tale continuazione può beneficiare(…) anche la società cessionaria o conferitaria d'azienda o di rami d'azienda cui i contratti siano trasferiti", oltretutto provvedendosi pur sempre alla "cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni" (art.186-bis, 3°comma, in fine).

II. Nuovi doveri o mere opportunità per gli organi societari?
Le disposizioni ora menzionate del Decreto Sviluppo, secondo i primi commentatori e la dichiarata volontà del legislatore, avrebbero modificato la stessa architettura delle regole di governance societaria.
II.1 . Gli amministratori, secondo il diritto societario, hanno come obbligo vincolante e sanzionabile quello di tutelare i creditori "maturati" (e iscritti come tali tra le passività di bilancio), salvaguardando il capitale.
Le principali norme di riferimento sono l'articolo 2741 e gli articoli 2446 e 2447 del codice civile (oltre all'art.217,1°comma, n.4 della Legge Fallimentare).
L'obbligo di perseguire l'interesse alla redditività aziendale e, di conseguenza, incrementare il valore delle azioni, rientra invece solo tra i doveri "fiduciari" verso i soci, ed è strettamente subordinato al primo, potendo comportare di regola solo la revoca da parte dei soci.
II.2 . Invece, il Decreto Sviluppo attenua i doveri di pagare i debiti anteriori, consentendo deroghe alla par condicio dei creditori (sulle quali vi intratterrà l'avv.Romano), e - sempre nello scopo dichiarato delle nuove norme - vorrebbe incrementare i doveri degli amministratori verso i soci e verso tutti gli altri interessati alla prosecuzione dell'attività (i cosiddetti stakeholders).
A tal fine, gli amministratori vengono incentivati, dalla stessa legislazione (e non solo dai consigli dei cultori di finanza aziendale) a rispettare le regole del buon governo societario:
- elaborare piani strategici e monitorarli;
- farsi assistere da esperti aziendalisti;
- valersi di indici di bilancio e di analisi del mercato;
- accertare non tanto la integrità del capitale, quanto piuttosto la continuità aziendale;
- individuare le possibili alternative ed i possibili scenari, tenuto conto della realtà economica e delle opportunità offerte dal legislatore.
Il tradizionale divieto di operazioni palesemente irragionevoli, verrebbe ormai sostituito dall'obbligo di effettuare la scelta comparativamente più ragionevole, nell'ottica della continuità aziendale e approfittando delle nuove forme di tutela.
Al punto che una norma di comportamento dei sindaci predisposta dal Consiglio Nazionale dei Commercialisti (norma 11.1, "Prevenzione ed emersione della crisi") addirittura suggerisce che i sindaci, prospettandosi il venir meno della continuità aziendale, esigano dagli amministratori il ricorso alle misure di tutela e composizione previste dalla normativa concorsuale (con ciò, peraltro, facendo intervenire l'organo di controllo in scelte gestionali che gli sono in realtà estranee !).
II.3 - Ho già espresso la convinzione che in realtà non esista ancora il dovere di tempestiva emersione della crisi né il "dovere risanamento aziendale".
La sensazione mia (e di altri commentatori) è che in realtà il legislatore, invece di promuovere un "circolo virtuoso" (lo "Sviluppo" di cui al Decreto omonimo) - e nell'incapacità di farlo - abbia solo imitato lo struzzo, ponendo in essere un'operazione di mera facciata, nell'attesa che il ciclo economico generale, come è sempre storicamente avvenuto, prima o poi si inverta.
Di fatto, le nuove norme aiutano, piuttosto, gli imprenditori più spregiudicati (o disperati) a rinviare (peggiorandola) qualunque soluzione e solo in rari casi (non più del 10%, secondo le prime rilevazioni) vengono utilizzate per affrontare le situazioni di crisi effettivamente riversibili.
Quindi nuove opportunità sì, per i debitori in crisi; ma non nuovi doveri, bensi semmai, per taluno, la "licenza di uccidere", bloccando ad nutum le azioni dei creditori anche nelle situazioni di dissesto ormai avanzato e irrecuperabile.
E così, in concreto, solo nuovi rischi per la massa dei creditori, che rischia di essere sommersa da nuovi debiti in prededuzione (come è avvenuto per la Legge Prodi, in particolare nella sua versione originaria).
Ne deriva, al contempo, la reazione dei tribunali più rigorosi, che in realtà disapplicano gran parte della normativa.
Non riconoscono infatti, in concreto, la compatibilità tra una domanda di pre-concordato ed un concordato in continuità, con i relativi benefici (in quanto un vero pre-concordato dovrebbe essere effettivamente "in bianco", mentre la continuità aziendale dev'essere non solo dichiarata e accertata di fatto, ma al contempo - e non poi - oggetto di un piano analitico e di una esauriente attestazione).

III. L'affitto dell'azienda in crisi
Quale che ne debba essere il giudizio, la nuova normativa dall'11 settembre 2012 è in vigore, e bisogna affrontare i numerosi problemi che stanno emergendo nella sua concreta applicazione.
III.1 . Fra i tanti aspetti da chiarire, cito:
- quali siano i limiti dei poteri di controllo e autorizzazione del tribunale (che si pongono in conflitto con la regola secondo cui il tribunale non può interferire nel merito delle scelte gestionali, e deve così affidarsi all' "imbellettamento " operato dall' attestatore, oltretutto nominato dallo stesso debitore);
- se vi sia la necessità di indicare, nella proposta, la percentuale offerta (parrebbe di sì, ma non è chiaro con quali sanzioni se non raggiunta);
- la delimitazione degli atti strumentali alla procedura esonerati da revocatoria o da trattare (e pagare) in prededuzione, anche in caso di fallimento, a loro volta da suddividere in atti normali, atti da far autorizzare dal tribunale o,poi, dal giudice delegato, e atti da coprire mediante l'attestazione del piano o da una specifica autonoma attestazione;
- gli effetti, nel successivo fallimento, di relazioni e attestazioni ab origine viziate (la cui contestabilità potrebbe indurre il tribunale fallimentare ad escludere le conseguenti prededuzioni);
- la possibilità,infine, di affitto ante o durante il concordato con opzione, prelazione o preliminare vincolante di acquisto da parte dell'affittuario.
Ed altri ancora.
III.2. Da parte mia, mi limiterò a richiamare alcuni problemi in tema di affitto d'azienda, mentre la collega avv. Romano accennerà ad altri temi.
Inutile ricordare che, al fine di mantenere in funzione un'azienda od un ramo in crisi, la modalità più diffusa è quella di affittarla ad una società preesistente o di nuova costituzione: pacificamente, tale società può anche essere costituita dagli stessi soci della società per azioni od a responsabilità limitata in crisi (che non hanno l' obbligo, per definizione di effettuare nuovi conferimenti).
Se ne veda la indiretta conferma, in ogni caso, nell'art.124, 1°comma, LF, a proposito del concordato fallimentare.
L'affittuario, con apposite clausole, si riserva di acquistare l'azienda al termine dell'affitto.

• La prima possibilità, molto ricorrente, è che l'affitto venga stipulato in vista del concordato e poi incluso nel piano e successivo concordato: si tratta del cosiddetto "pacchetto preconfezionato".
• Altra ipotesi è quella in cui l'affitto, collegato alla successiva vendita, venga formalizzato dopo la richiesta di concordato.

In sostanza, per entrambi i casi il problema è se si applichino necessariamente talune regole dell'affitto d'azienda nel fallimento (art.104-bis), che impongono specifiche autorizzazioni e procedure competitive per il nuovo affitto e la successiva vendita, e che limitano così le possibilità di acquisto da parte dell'affittuario. Nel fallimento, più precisamente, il contratto potrà prevedere la prelazione per l'affittuario, ma non l'obbligo di vendita a suo favore (né come preliminare bilaterale, né come opzione per l'affittuario).

Oltre a ciò , in relazione alle regole specifiche del concordato, ci si chiede
• da un lato se, stipulato l'affitto prima della richiesta di concordato in bianco, possa poi non includere l'affitto nel piano e usufruire del regime generale di cui all'art.169-bis, che genericamente, per tutti i contratti pendenti, consente, con autorizzazione del Tribunale (o, poi, del Giudice Delegato)di sciogliersi liberamente, corrispondendo solo un indennizzo come normale debito concorsuale (come se l'affitto fosse stato sciolto per inadempimento prima del concordato) .

• D'altro lato, se, includendolo nel piano, il debitore o l'affittuario possano fruire delle opzioni concesse per il concordato in continuità, già menzionate, o per il concordato in generale (come i finanziamenti ponte - in funzione, interinali o in esecuzione del concordato, prededucibili qualora l'affitto si risolva e l'affittante fallisca).

Il discorso poi, nella prospettiva delle scelte del debitore e dei suoi consulenti, e del potenziale affittuario che si voglia "prenotare" il futuro acquisto, è se sia più opportuno stipulare l'affitto e poi presentare la normale proposta o il pre-concordato o, all'opposto, presentare la proposta o la richiesta di pre-concordato e poi affittare (fermo restando che, in ogni caso, vanno esperite anche le normali procedure sindacali, se le dimensioni dell'azienda lo impongano).

III.2 - Per quanto riguarda la prima ipotesi (affitto anteriore al concordato), la risposta prevalente è che si applichi il (nuovo) regime normale dei contratti pendenti nel concordato, cioè l'art.169-bis, per cui il debitore affittante può chiedere al tribunale l'autorizzazione a sciogliersi (travolgendo con ciò qualunque clausola sulla futura vendita all'affittuario).

Qualora, tuttavia, l'affittante ritenga di mantenere in vita il contratto stipulato prima della richiesta di concordato in bianco, per includerlo poi nel piano, è dubbio se le tutte le sue clausole conservino efficacia.

Il dubbio riguarda,essenzialmente, la possibilità per l'affittuario di pretendere l'acquisto ad un prezzo predeterminato (eventualmente anche in funzione di elementi variabili, ma oggettivi); ed eventualmente, se il limite di resistenza sia dato dal citato art.104-bis, che nel prevedere l'affitto d'azienda nel fallimento, ammette solo la prelazione dell'affittuario, e non un impegno o un'opzione a suo esclusivo favore, ad un prezzo predeterminato.

Non credo sia il caso di approfondire le diverse sfaccettature del tema.
Deve solo ricordarsi che il problema viene discusso identificandolo come ammissibilità o meno del "pacchetto preconfezionato" e che in sintesi la risposta sia tendenzialmente negativa da parte del Tribunale di Milano (che al più consente che il piano contempli una mera prelazione a favore dell'affittuario), e positiva, con alcune cautele, da parte della dottrina e degli altri tribunali.

La prima tesi, restrittiva, argomenta che gli articoli in tema esecuzione del concordato in senso lato con cessione dei beni rinviano alla necessità di procedure competitive (artt.182, 5°c.), e comunque ragioni di ordine pubblicistico impongono la scelta imperativa del massimo realizzo, ossia della vendita concorrenziale (T. Milano, 27 ottobre 2011, caso San Raffaele; Lamanna).
La seconda, ora prevalente, segnala che le regole di cui all'art.182 in tema di cessione dei beni devono intendersi come meramente suppletive e riferite ad una precisa tipologia (nomina di liquidatori, di comitato dei creditori), dovendo, ove chiaramente espressa, invece prevalere la volontà delle parti, data, in generale, la preclusione di controlli di merito da parte del tribunale e l'esplicita menzione legislativa della libertà delle parti (art.182, 1°c.: "se il concordato[…]non dispone diversamente"; art.160,1°c.: il piano di concordato può prevedere"la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma") (Trib.Lodi,Stanghellini,Fabiani,Nigro-Vattermoli; parrebbe Cass.1345/2011,).

Quindi, in concreto, l'affittuario, se prende in affitto l'azienda prima del concordato, può far inserire una clausola che obblighi formalmente l'affittante a vendergli poi l'azienda: tuttavia l'effettivo acquisto potrà avvenire solo se il debitore inserisca il preliminare nel piano e la proposta sia approvata dai creditori e omologata.

Fermo restando che, se il debitore volesse liberarsi potrebbe sciogliersi dall'affitto come contratto pendente pagando solo un indennizzo come debito concorsuale.

Si deve segnalare che al contempo persistono dubbi sul fatto che ai creditori possa sottoporsi una proposta di concordato con un piano che riconosca addirittura al debitore la opzione per poter decidere lui l'acquisto ad un prezzo predeterminato.

Altra clausola contestata è quella che, nel riconoscere la prelazione, consenta all'affittuario di trasformare i canoni versati in un acconto sul prezzo (ovvero, in caso di mancato esercizio, in un credito verso la procedura e di fatto il diverso acquirente).

Diversamente, se l'affitto venga stipulato (o rinnovato) quando il concordato (o pre-concordato) è già stato richiesto, il contratto sarà sottoposto ab origine all'autorizzazione del tribunale o (formulata e ammessa la proposta) del giudice delegato, ai sensi dell'art.167, 2°comma, LF.
Con l'effetto che verrà meno la facoltà di scioglimento da parte del debitore, e saranno subito eliminati i dubbi sulle clausole discutibili.
Ma con il rischio che i tempi si allunghino o la "copertura" da parte del Tribunale venga rifiutata.

La conclusione è che, se non vi sono realisticamente possibilità di offerte concorrenti, è meglio fare l'affitto prima del concordato e fruire comunque del vantaggio della immis- sione nella gestione aziendale.
Ma non far troppo conto della tenuta di clausole che garantiscano l'acquisto, e semmai stare attenti ad avere vie di fuga, tramite clausole di recesso o meglio condizioni risolutive che consentano di non perfezionare la vendita se la situazione si rivela peggiore del previsto.

III.3 - Ci si chiede infine, se l'affitto dell'azienda a terzi dia luogo ad un concordato in continuità, e se a favore del debitore od eventualmente dell'affittuario possano operare i vantaggi del pre-concordato e quelli specifici del concordato in continuità.
Le risposte sono per ora variegate e contraddittorie.

Ricordiamo, anzitutto, che l'art.160 e l'art.186-bis lasciano ampia libertà di cedere o conferire a terzi l'azienda in funzionamento, anche nel corso del concordato: ad esempio il conferimento in una società per poi attribuire ai creditori le relative azioni.
Oltre a ciò, l'affitto è regolamentato nell'ambito del fallimento, per cui non si comprende perché mai non dovrebbe esser possibile nel concordato.
Pertanto, un piano che preveda l'affitto e la successiva vendita, e che, al fine di attestare la fattibilità del piano, estenda le previsioni ed i futuri controlli alla gestione dell'affittuario, non è certo impossibile né illecito (anche se l'ipotesi non è espressamente prevista).

Tuttavia, bisogna ricordare che, con l'affitto, l'affittante perde l'esercizio dell'azienda e la stessa qualità di imprenditore (se non lo sia per altre ragioni): sarà così difficile, ad esempio, giustificare l' erogazione a suo favore di finanziamenti interinali prededucibili, quando l'attività che ne garantisce il rimborso e su cui si deve esprimere l'attestatore è svolta da altro imprenditore.
E, parimenti, autorizzare pagamenti preferenziali da parte dell'affittante per favorire rapporti contrattuali di cui profitta l'affittuario.

Il problema si pone in realtà anche per l'ipotesi di cessione o conferimento dell'azienda in funzionamento, che l'art.186-bis menziona espressamente tra le ipotesi di concordato in continuità.
Quindi, la volontà del legislatore è chiaramente di includere tra i concordati con continuità (indiretta) anche le ipotesi di gestione realizzata da terzi.

Tuttavia, la soluzione pare che tenda ad essere la medesima per tutte le ipotesi (affitto, conferimento, vendita): i vantaggi della normativa concorsuale, legati ad operazioni straordinarie e ad attestazioni speciali, vanno erogati e usufruiti solo a favore del debitore, e di regola solo prima della cessione a terzi dell'attività aziendale, e non dopo che l'affitto, cessione, conferimento si sono perfezionati.

In generale, nel concordato in continuità la soddisfazione dei creditori viene realizzata tramite i risultati della futura attività aziendale del debitore, che non ferma l'operatività della propria impresa ma ne continua la gestione in funzione della proposta avanzata e con l'alea dei futuri risultati (il modello di riferimento è sempre il concordato di ristrutturazione, o con continuità diretta).

Quando invece i rischi e le utilità dell'azienda siano trasferiti a terzi, i risultati dell'attività sono di competenza del terzo, qualora, come di regola avviene, il prezzo della vendita ed i canoni della locazione siano determinati in una misura fissa.

In tal caso, non vi può essere vero concordato in continuità dopo che l'azienda sia affidata al nuovo imprenditore, ancorchè il piano di concordato debba considerare anche la sua gestione, sinchè condiziona il pagamento promesso ai creditori.

Al contrario, si potranno ipotizzare autorizzazioni speciali e i vantaggi connessi (per finanziamenti e pagamenti in prededuzione) se i canoni o il corrispettivo siano variabili, e collegati all'operatività aziendale.

La soluzione dovrebbe valere anche nel caso di conferimento in una nuova società destinata ad essere controllata al 100% da quella in crisi, essendo in tal caso immediato il vantaggio derivante dai risultati

In conclusione, l'affitto d'azienda non è astrattamente escluso dal concordato in continuità, ma lo stesso, così come la cessione od il conferimento in corso di concordato, espressamente menzionati, una volta che sia in corso, ben difficilmente consentirà di autorizzare finanziamenti interinali o autorizzare pagamenti di debiti pregressi che reggano alla prededuzione in caso di successivo fallimento.

Prof. Avv. Carlo Bruno VANETTI
Professore Associato nell'Università di Pavia
Email cvanetti@eco.unipv.it


In evidenza oggi: