di: Avv. Amedeo Di Segni - Nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo si afferma "Toute personne a droit à ce que sa cause soit emtendue... par un tribunal indépendent et impartial" e cioè ogni cittadino ha diritto ad essere giudicato da un Tribunale indipendente ed imparziale.

Lo stesso concetto è più volte ribadito in più di un articolo della nostra Costituzione ed in particolare agli artt. 24, 25 e 111 (come modificato dalla legge costituzionale 23.11.1999, n.2) ove viene definito il cosiddetto giusto processo.

È di tutta evidenza che chi ci deve giudicare non possa avere alcun tipo di pregiudizio, di questione personale o altri motivi che renderebbero il giudizio stesso non obiettivo e non equo; meno intuitivo ma altrettanto consacrato nel corpo dei nostri codici è il principio che il Giudice debba pervenire al processo, non solo senza pregiudizi, ma anche senza conoscerne i dettagli che egli deve invece ricercare e valutare man mano che la prova si forma in dibattimento: in una parola deve pervenire vergine al processo.

L'art. 34 del codice di procedura penale prevede appunto una serie di casi di incompatibilità del Giudice, con le precisazioni di cui all'art. 35 e con i dettagli di quando debba astenersi normati dal successivo art. 36.

Il citato art. 34 prevede il caso del Giudice che abbia già pronunciato una sentenza in un diverso grado o che abbia già emesso un provvedimento nell'udienza preliminare o ancora che abbia esercitato funzioni di Giudice per le indagini preliminari così come, nell'art. 35 si prevedono casi di incompatibilità da parte di Giudici che abbiano rapporti di parentela fra di loro; infine l'art. 36 contempla altri casi legati ad un eventuale interesse personale nel procedimento o all'essersi espresso anticipatamente sull'esito della causa o, ancora per il caso di grave inimicizia con una delle parti ed altre fattispecie di parentela; il tutto rafforzato (lettera h) con la generica previsione " se esistono altre gravi ragioni di convenienza".

Nonostante i numerosi e dettagliati casi previsti dalle norme citate, l'art. 34 è fra i più bersagliati dalla Corte Costituzionale perché ritenuto non sufficientemente garantista e non sufficientemente adeguato: di conseguenza numerosissime sentenze hanno notevolmente ampliato la portata della norma, dichiarandola incostituzionale nella misura in cui non erano previste specifiche altre ipotesi, e quindi aggiungendo di volta in volta nuove circostanze di incompatibilità (vedi fra le altre la sentenza 496/1990 e la recentissima 12127/2012).

Anche la Suprema Corte (vedi fra le altre la sentenza a Sezioni Unite n. 41263/2005) ha prodotto corposa giurisprudenza per riaffermare sempre lo stesso principio: la necessità di terzietà del Giudice!

Ma come fa un Giudice, o un Collegio Giudicante, ad essere davvero terzo? Come può pervenire al processo senza conoscerlo? E come può rimanere terzo di fronte ad un imputato se un coimputato abbia scelto per esempio un rito abbreviato e quindi sia stato giudicato prima degli altri?

La risposta è semplice: non può! E proprio per questo si presta una grande attenzione a che il Giudice o il Collegio Giudicante non sia mai intervenuto in nessuna fase del procedimento e, se interviene l'ipotesi di un imputato che debba concludere il proprio giudizio prima di altri, deve operarsi uno stralcio ed assegnarsi ad altro Giudice.

Le fasi precedenti al dibattimento vero e proprio possono essere moltissime e tutte, o quasi tutte, possono comportare un pre-giudizio che osterebbe alla necessaria terzietà; facciamo alcuni casi:

  1. Il Giudice ha già svolto funzioni di Gup ed ha rinviato lo stesso imputato a giudizio: evidentemente si è formato un'opinione, ha studiato il processo in fase di conclusione delle indagini preliminari e quindi diviene incompatibile!

  2. Il Giudice ha fatto parte di un Collegio di riesame di una misura cautelare personale: ha già valutato elementi di responsabilità dell'imputato ed è quindi incompatibile.

Potremmo citare un'infinità di casi similari per pervenire comunque alla conclusione che, l'imparzialità attiene al modo in cui il giudice "terzo" - ovvero legittimamente investito dell'affare e immune dai pregiudizi già individuati per legge in relazione ad attività già compiute in seno al procedimento - si pone concretamente rispetto alla vicenda sottoposta al suo esame e prescinde da qualunque riferimento alla struttura interna del processo. Il giudice imparziale è colui che è in posizione di assoluto disinteresse per la soluzione della vicenda.

Detto questo vi sono ancora numerose fattispecie non ancora definite con un giudizio da parte della Corte Costituzionale perché dietro gli anfratti di una giungla normativa molto complessa, si nascondono insidiose ipotesi che sono al confine fra il caso chiaro e determinato e il caso di incompatibilità non rilevante o non sussistente.

 IL CASO EUTELIA

 In un noto procedimento Aretino ove si sta giudicando la responsabilità per la bancarotta di Eutelia si è proposto un caso proprio di confine: il Collegio attualmente investito del dibattimento è presieduto da un Giudice che aveva fatto parte di un Collegio che si era già occupato del riesame di una misura presa nei confronti di uno degli imputati: in questo caso però, contrariamente ad altre fattispecie di cui si è già occupata la Corte Costituzionale, il Collegio non fu chiamato a giudicare sulla opportunità o sui presupposti di una misura cautelare personale (in tal caso l'incompatibilità sarebbe stata fuori di dubbio); si occupò invece di una misura cautelare cosiddetta reale e cioè se fosse da confermare o meno il sequestro su un bene immobile: in tal caso il Collegio del riesame non avrebbe dovuto conoscere l'intero processo e valutare se sussistesse penale responsabilità da parte anche di coimputati e quindi non vi sarebbe stata causa di incompatibilità: in tal senso si è espresso il Collegio giudicante dichiarandosi non incompatibile per il precedente ruolo svolto.

Sennonché, nell'occuparsi del problema legato al sequestro dell'immobile, quel Tribunale del riesame ebbe a disposizione centinaia di pagine del processo ed addirittura studiò tanto a fondo il ruolo dei vari imputati, da proporre un diverso reato nei confronti dell'imputato a cui carico è stato posto il sequestro; ancor più: quel Collegio affermò che l'imputato ricorrente concorreva nel reato commesso da altro coimputato (nel caso specifico la moglie concorreva col marito).

Dunque il Collegio del riesame, presieduto dalla stessa persona oggi Presidente del Collegio Giudicante, pur essendosi occupato formalmente in precedenza solo di un riesame su bene materiale, in concreto, secondo la difesa, non era comunque più terzo e quindi incompatibile!... la Corte Costituzionale si pronuncerà anche su questo.

Il vero problema è che alcune sedi di Tribunale sono piuttosto piccole e non dispongono in alcuni casi, di un numero di Magistrati sufficiente per costituire un nuovo Collegio, che non sia mai occupato prima con altro ruolo dello stesso procedimento: che fare? In questi casi l'unica soluzione accettabile è derogare ad un'altra norma del codice di rito che stabilisce la competenza per territorio all'art. 8 ove la competenza per territorio è determinata dal luogo ove il reato è stato consumato: in caso di incompatibilità, come nel caso di imputazione di un Giudice dello stesso Foro, si deroga alla competenza territoriale ed il processo va assegnato ad un Collegio di un diverso Foro.

Avv. Amedeo Di Segni
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