Ospitiamo il contributo del dott. Serafino Ruscica, sul tema delle infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti pubblici. Questo argomento di stringente attualità sarà ampiamente approfondito nel corso di preparazione per la carriera prefettizia di Justowin che inizierà il 1 marzo 2013. Per maggiori informazioni visita il sito www.justowin.it
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I labili contorni del "tentativo di infiltrazione mafiosa".
La locuzione «tentativo di infiltrazione mafiosa» presenta invero ampi margini di ambiguità.
Sforzandosi di colmare in via interpretativa i coni d'ombra sottesi ad una definizione a dir poco generica, si deve ritenere che l'espressione infiltrazione mafiosa vada inserita in un più ampio contesto legislativo, in quanto già richiamata da altre norme quali l'art. 1, comma quarto, della l. n. 726/1982, come mod. dalla l. n. 486/1986, gli artt. 15, quinto comma, 16 della l. n. 55/1990, l'art. 15 bis della legge da ultimo citata, come mod. dal d.l. n. 306/1992, conv. in l. n. 356/1992, e l'art. 24 della l. n. 356/1992. Dall'esame di questo crogiuolo di norme si può dedurre che si intende da parte del legislatore, anche nella specie, alludere alla presenza, negli organi di una persona giuridica privata, contraente con la P.A., di un soggetto legato alla mafia.
Per contro, non pare dubitabile che l'espressione «tentativo» non possa riportarsi in senso tecnico al concetto penalistico ex art. 56 c.p.  In concreto si è ritenuto in dottrina che l'infiltrazione mafiosa possa essere intesa come «il raggiungimento di cariche sociali, nell'ambito di una S.p.a., di un raggruppamento di imprese ecc., contraente con la P.A., da parte di un soggetto legato ad un'associazione di tipo mafioso, senza che questo tipo di legame abbia dato luogo a provvedimenti ex art. 10 della l. n. 575/1965. Quindi, il soggetto in questione, pur non essendo formalmente entrato a far parte i un'associazione di tipo mafioso, ha, tuttavia, prestato ad essa un proprio adeguato contributo per la realizzazione degli scopi del gruppo criminoso: si sono cioè voluti colpire soggetti ed imprese collocabili in una sorta di zona grigia non assoggettabile a misure di prevenzione »  .Va rilevato che la norma in questione prescinde volutamente da fatti accertati dall'autorità giudiziaria con pronunce definitive, e ciò in considerazione, soprattutto, dell'impalpabilità del fenomeno e dell'impossibilità di acquisire prove concrete. In sostanza il legislatore, evitando paletti probatori troppo rigidi, rimette al Prefetto la valutazione del caso, e ciò in considerazione dell'indeterminatezza dei casi che possono presentarsi in concreto e della facilità dell'elusione delle norme che codificano situazioni predefinite  . È peraltro di tutta evidenza che l'attribuzione di una discrezionalità non condizionata da parametri legali di orientamento rischia di avallare di forme di arbitrio esenti da qualsivoglia sindacato di legittimità. Proprio per scongiurare, o quanto meno limitare, un rischio di tal fatta, nell'attesa di un auspicabile intervento chiarificatore del legislatore, il Ministro dell'Interno, con circolare del 14 dicembre 1994, ha indicato elementi sintomatici necessari ai fini dell'individuazione dei fenomeni di infiltrazione
Resta da verificare se i dati sintomatici di cui alla circolare in parola costituiscano un numero chiuso, o se, come pure opina autorevole dottrina, vi sia spazio per altre ipotesi, quali, l'individuazione, all'interno degli organi rappresentativi dell'impresa, di soggetti con pendenze penali per reati tipici della criminalità organizzata o per gravi reati comuni o proposti per l'adozione della sorveglianza;
ovvero la sussistenza di rapporti di amicizia dei componenti degli organi di amministrazione con soggetti gravitanti nell'orbita della criminalità organizzata; o ancora l'emersione di situazioni di esposizione debitoria nei confronti di società finanziarie in odore di mafiosità o di forme di controllo attraverso la proprietà della maggioranza delle azioni da parte di società a loro volte infiltrate. Oppure talvolta si è considerato nell'informativa atipica la cointeressenza tra un consigliere di amministrazione di una s.r.l. con altra società, i cui organi elettivi erano stati disciolti per condizionamento da parte della criminalità organizzata accompagnata dal fatto che il medesimo consigliere era stato sorpreso in com pagnia di un  pregiudicato non gravato tuttavia da precedenti penali di stampo camorristico  . In un'altra circostanza è accaduto che il titolare di un ditta individuale fosse stato rinviato a giudizio per il reato di tentata estorsione e poiché tale provvedimento è tra quelli che l'art.10, comma 7, lettera a) della legge n.252 del 1998 considera, di per sé, sintomatico dei tentativi di infiltrazione mafiosa, senza che possa rilevare il carattere tentato o consumato del delitto o che sia in concreto necessario l'esame dell'intero provvedimento, tenuto conto anche del fatto che il dibattimento è disposto dal GUP, solo ove non ritenga di definire il processo nella fase preliminare, e senza una particolare motivazione nel merito circa l'ascrivibilità dei fatti delittuosi, riservata, appunto, al giudice del dibattimento. Inoltre, lo stesso risultava sottoposto alla misura di prevenzione personale dell'avviso orale, prevista dall'art. 2 della l. n. 327/98, per coloro che debba ritenersi,abitualmente dediti a traffici delittuosi .
La disomogeneità delle opzioni ermeneutiche evidenzia come il concetto di tentativo di infiltrazione mafiosa sia un contenitore vuoto all'interno del quale è possibile mettere tutto ed il contrario di tutto.
Si rende necessario cercare di tracciare i contorni del concetto in verità assai labile di tentativo di infiltrazione mafiosa.
Dalla riuscita di questa actio finorum regundorum dipenderà la possibilità di garantire il rispetto di quel principio di tassatività che abbiamo visto essere alla base del nostro diritto punitivo sia di matrice penale (art. 25 Cost. e 1 c.p.) che amministrativa (art. 1 l. n. 689/1981).
L'impossibilità di trovare una adeguata risposta nell'attuale normativa antimafia all'interrogativo relativo al concetto di "infiltrazione mafiosa", ha comportato talvolta anche la convinzione che talora traspare, secondo la quale l'infiltrazione mafiosa sia un reato . Si tratta di un fenomeno che, pur non assurgendo al rango di reato, chè altrimenti interverrebbe il giudice penale e non l'autorità amministrativa, può costituire un prodromo di qualcosa che la società giudica opportuno combattere.
In questo contesto, è chiaro che i contorni del fenomeno siano privi di una perimetrazione definitoria ; il che costituisce la forza, ma anche la debolezza di questo strumento.
In una prospettiva di riforma della normativa, sembra profilarsi un consenso circa la necessità di rivedere le informative atipiche, quelle, cioè, che le Prefetture trasmettono agli enti appaltanti, lasciando ad essi la valutazione se gli elementi forniti siano sufficienti oppure no, a configurare un pericolo di tentativo di infiltrazione.
La norma, in realtà, prende in considerazione una fattispecie, che non ha ancora i connotati di un fatto tipizzato come attività delittuosa, ma che, al tempo stesso, presenta un allarme potenziale, idoneo a far degenerare il fatto medesimo in un reato.
In questo contesto, bisogna, poi, ricordare che, se da un lato il concetto di infiltrazione mafiosa si presta ad identificare un tentativo della criminalità organizzata di penetrare in un'impresa, dall'altro lato non è altrettanto immediato individuare la differenza tra l'ipotesi in cui l'impresa accondiscende a farsi infiltrare e quella in cui, invece, subisce l'infiltrazione della mafia . Non mancano, naturalmente, casi in cui la complessità degli elementi che conducono al giudizio di contiguità mafiosa dell'impresa, siano tali e tanti, da rendere inequivocabile la necessità di ricorrere alla misura cautelare dell'informativa antimafia. Alcune prefetture considerano per esempio l'ipotesi in cui il coniuge dell'amministratore unico di una società, pur se separato dalla moglie, in base agli elementi acquisiti, è stato ritenuto capace di determinare le scelte e gli indirizzi della società, quale titolare occulto e gestore di fatto dell'azienda: nel caso di specie si trattava di un soggetto con numerosi precedenti e pendenze penali per vari reati (condanne riportate per un tentativo di concussione e per l'emissione di assegni a vuoto, ma non per reati di stampo mafioso), e con accertate frequentazioni di pericolosi pregiudicati ed elementi di spicco della criminalità organizzata, era stato inoltre dalla Questura per l'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S., non concessa in quanto infondata 
I contorni delle vicende diventano però evanescenti, se si passano ad esemplificare i quadri indiziari, che sorreggono la categoria delle informative atipiche  .
L'opinione della giurisprudenza è consolidata da sempre nel senso di non pretendere una definizione precisa dei confini di un fenomeno di tipo meta - giuridico e quasi sociologico pertanto è opinione pacifica quella per cui le informative prefettizie in materia di lotta antimafia possono essere fondate su fatti e vicende aventi valore sintomatico e indiziario .
Pertanto le informative prefettizie antimafia non devono provare l'intervenuta infiltrazione, essendo questo un quid pluris non richiesto, ma devono sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il tentativo di ingerenza.
Il prefetto deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario , in cui assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni; attesa la finalità preventiva del provvedimento, il prefetto può ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell'assoluta certezza - quali una condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti - ma che, nel loro coacervo, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni criminali.
Nell'ottica della tutela preventiva avanzata, il mancato raggiungimento della prova non esclude un quadro indiziario significativo, rimesso al prudente apprezzamento dell'autorità prefettizia, per conclusioni da rapportare sia alle difficoltà connesse all'accertamento di reati , spesso coperti dall'omertà o dal timore dei soggetti passivi coinvolti, sia alla dichiarata prevalenza - sul piano legislativo - dell'interesse pubblico ad approntare rimedi preventivi, nei confronti di ampi e notori fenomeni di criminalità organizzata . Persino l'accertamento penale di una contiguità soggiacente, potenzialmente foriera di vantaggi economici, può dare, secondo i giudici di Palazzo Spada  , plastica evidenza della permeabilità delle imprese alla infiltrazioni malavitose corroborando la ricorrenza del presupposto cui la normativa ricollega l'adozione della misura interdittiva; la ratio della normativa di prevenzione di cui si discorre, infatti, consente di attribuire rilievo anche a condotte di sudditanza e di soggezione che, pur non essendo penalmente rilevanti, denuncino l'incapacità di reagire alle pressioni malavitose  e, con essa, l'oggettivo contributo al perseguimento dei fini criminosi delle associazioni criminali che la legislazione mira a contrastare, nella ricordata logica preventiva e cautelare, con l'informativa interdittiva  .
L'informativa tende, quindi, a verificare l'esistenza di un pericolo di condizionamento, che non può disconoscersi in presenza di accertati contatti e cointeressenza con ambienti malavitosi .
Vi è però la necessità di porre un‘argine al rischio di deriva interpretativa   ricordando che le fonti da cui si possono desumere gli elementi relativi alla sussistenza di tentativi di infiltrazioni mafiose previsti dall'art. 10 comma 7, d.P.R. n. 252 del 1998 dovrebbero ritenersi tassative (pur nella finalità preventiva dell'informativa) e comunque le fonti stesse devono ricondursi a provvedimenti giudiziali o amministrativi. Se è vero che la disciplina delle informazioni antimafia partecipa alla medesima ratio delle misure di prevenzione (funzione cautelare e preventiva rispetto alla criminalità organizzata) e come tale può trovare applicazione anche nell'ipotesi in cui gli indizi non assumono carattere di gravità, precisione e concordanza, è altrettanto vero però che nell'esercizio del potere di valutazione, coinvolgente il delicato equilibrio tra esigenze di tutela dell'ordine pubblico e attività di impresa, l'Amministrazione deve assumere una posizione di imparzialità in conformità a quanto previsto dall'art. 97 Cost., posizione che, pur non rivestendo quel carattere di terzietà proprio del potere giurisdizionale, deve ciononostante imporre una valutazione complessiva di tutti gli elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria, e quindi anche quelli che potrebbero condurre ad una giudizio liberatorio dell'impresa soggetta a verifica  .
Pertanto i valori costituzionali in gioco (presunzione di innocenza e libertà di impresa), se non escludono la predisposizione di mezzi di prevenzione, impongono che la "interpretazione della normativa in esame debba essere improntata a necessaria cautela" e fanno sì che quando determinati fatti risultino esaminati nella sede penale  non è possibile pervenire ad una opposta valutazione nella sede amministrativa ed in tali casi ben può il g.a. (questa essendo la sua funzione istituzionale), se domandato da una parte, rilevarne l'illegittimità . Quindi una denuncia di reato successivamente archiviata o una ordinanza cautelare, pur seguita da una sentenza di assoluzione, possono ben valere come indizi di infiltrazione mafiosa, rilevanti ai fini dell'informativa antimafia. Infatti, non può disconoscersi che talune evenienze sfavorevoli, quali la informazione di garanzia, le imputazioni o le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, costituiscano elementi presuntivi del rischio di infiltrazione mafiosa e, quindi, possano rappresentare legittimo presupposto della relativa informazione prefettizia, a meno che tali elementi non siano in concreto smentiti dall'andamento processuale dei fatti in contestazione.
Nè può opporsi che le suddette emergenze hanno riguardo a familiari non interessati all'esercizio dell'attività autorizzata, poiché il rapporto di parentela  non è considerato di per sé, ma rappresenta l'humus per l'infiltrazione mafiosa o, quanto meno, per possibili interferenze illecite della malavita nella vita societaria .
Altre volte si è considerato elemento determinante ai fini dell'emissione dell'informativa sfavorevole il fatto che il direttore tecnico della società fosse stato, in precedenza, amministratore unico d i altra società, colpita da un provvedimento antimafia interdittivo, inizialmente annullato dal Tar, sebbene  successivamente, a seguito dell'emersione di intercettazioni telefoniche di persone operanti nella società in questione, il Consiglio di Stato, con successiva sentenza di riforma in appello avesse dedotto il collegamento della società con attività illecite, sulla base di elementi indiziari di forte spessore, riguardanti sia la permeabilità, ancorché per timore o quieto vivere a condizionamenti da parte della criminalità organizzata del soggetto, che appariva il gestore di fatto della società, sia l'utilizzazione, di un fax intestato ad altra società, parimenti destinataria di interdittiva antimafia.
D'altra parte il nostro sistema giuridico è fondato sul principio di legalità e sulla soggezione dell'Amministrazione alla legge, e dunque qualunque manifestazione dell'azione amministrativa è passibile del controllo da parte della competente giurisdizione per verificarne la conformità alla normativa, anche sotto il profilo della logicità e della ragionevolezza" .
Quanto ai rapporti con il giudizio penale è stato chiarito che a fronte di un accertamento del giudice penale tale, addirittura, da ritenere l'accusa neppure sostenibile in giudizio, le informazioni prefettizie interdittive alla partecipazione ad una gara d'appalto per presunto collegamento con organizzazioni criminali, sono da ritenersi di scarso significato. Pertanto è ben vero che il giudizio penale, anche quando nettamente formulato in senso contrario, non esclude che l'Amministrazione possa individuare elementi di sospetto a carico dell'interessato, ma questa ha il dovere di motivare con il massimo rigore la sua valutazione sul pericolo di condizionamento mafioso. 
Tuttavia, al fine di evitare il travalicamento in uno stato di polizia e per salvaguardare i principi di legalità e di certezza del diritto, non possono reputarsi sufficienti, ai fini indicati, fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, occorrendo altresì l'individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con le predette associazioni, con la conseguenza che la valutazione del Prefetto deve essere sorretta da uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni  .
Si è ritenuto pertanto che la trasformazione societaria, funzionale a dare vita ad un soggetto solo formalmente nuovo ed autonomo rispetto al precedente, non è in grado di fugare il rischio della permanenza di permeabilità, rispetto a fenomeni di criminalità organizzata, in capo all'impresa, rimasta immutata sul piano sostanziale.
La legittimità dell'informativa non può ritenersi inficiata dalla circostanza che i suoi destinatari siano immuni da precedenti penali o risultino essere stati assolti da fatti penalmente rilevanti in processi penali celebrati a loro carico, in quanto l'informativa prefettizia antimafia è ancorata a comportamenti che, pur senza raggiungere la soglia della rilevanza penale, lasciano intravedere un tentativo di infiltrazione mafiosa.
I fattori di rischio sui quali le stesse si basano -inerenti all'emersione di tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata in organismi imprenditoriali-, possono considerarsi fugati, non tanto e non solo per il trascorrere di un più o meno breve lasso di tempo dall'ultima verifica fatta senza che sia emersa alcuna nuova evenienza negativa, quanto piuttosto per il sopraggiungere di fatti positivi, idonei a dar conto di un nuovo e consolidato operare di soggetti ai quali è stato ricollegato il pericolo  .
Quanto all'incidenza del rapporto di parentela   si osserva che l'esistenza di un qualunque rapporto di parentela con ambienti del crimine organizzato, in assenza di ulteriori indici probanti, non possa deporre ex se nel senso del possibile condizionamento criminale, laddove tale circostanza non risulti supportata dall'indicazione di ulteriori circostanze obiettivamente sintomatiche di connessioni o collegamenti con gli ambienti criminali . Una certa sensibilità si riscontra negli U. T. G. in relazione ai vincoli di frequentazione 
Come si ricava dalla normativa sopra riportata (v. art. 10, comma 8, del D.P.R. n. 252 del 1998), quantunque le informazioni tese ad accertare l'inesistenza di cause impeditive a contrarre con la pubblica amministrazione ovvero ad escludere l'esistenza di elementi che inducano a ritenere la sussistenza di infiltrazioni mafiose debbano sicuramente riguardare gli amministratori della società di capitali, esse devono essere condotte anche nei confronti di qualsiasi altra persona che possa condizionare le scelte e gli indirizzi della società stessa  .
Sia la lettera della legge che la natura e la funzione delle informative prefettizie antimafia conducono a sottolineare ch'esse non si esauriscono in un mero riscontro formale dell'esistenza o meno di cause ostative derivanti da provvedimenti giurisdizionali o da proposte di applicazione di misure di prevenzione, ma implicano, da parte dell'autorità prefettizia, l'esercizio di un ampio potere di valutazione, in termini di prevenzione, di tutti gli elementi di fatto, da cui possa ragionevolmente ricavarsi l'intervento della criminalità organizzata in attività economiche e lucrative, onde evitare che possa riversarsi nelle mani di quest'ultima la disponibilità di risorse finanziarie pubbliche attraverso atti formalmente o apparentemente legittimi .
Non occorre, ha sottolineato la giurisprudenza, né la prova di fatti di reato, né la prova della effettiva infiltrazione mafiosa nell'impresa e nemmeno la prova dell'effettivo condizionamento delle scelte dell'impresa stessa da parte di associazioni o soggetti mafiosi, essendo sufficiente il "tentativo di infiltrazione" avente lo scopo di condizionare le scelte dell'impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato .
Inerendo all'azione di prevenzione, a sua volta rientrante nella funzione di polizia e di sicurezza, può legittimamente basarsi su fatti e vicende solo sintomatici ed indiziari  , purché idonei a far emergere, al di là della individuazione di responsabilità penali, anche solo il pericolo di condizionamento enunciato dal legislatore. http://www.justowin.it/2012/10/corso-di-preparazione-al-concorso-per-la-carriera-prefettizia/

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