La recente introduzione nel nostro ordinamento della nuova normativa organizzativa della professione forense ha apportato notevoli modifiche ed ha introdotto novità rilevanti per gli operatori del settore. Il "codice forense" è suddiviso in sei titoli (disposizioni generali; albi, elenchi e registri; organi e funzioni degli ordini forensi; accesso alla professione forense; il procedimento disciplinare; delega al Governo e disposizioni transitorie e finali) contenenti in totale 67 articoli. Di seguito, suddivise in paragrafi per maggiore semplicità espositiva, le maggiori novità introdotte dalla riforma della professione forense.

Le associazioni tra avvocati (art. 4)

La mole di lavoro crescente e le esigenze di un mercato in continua evoluzione hanno spinto anche la classe forense a concentrarsi ed approfondire determinate tematiche giuridiche ed economiche: ecco quindi sempre più spesso veder nascere studi associati ed associazioni professionali specializzate in determinate discipline. Al fine di fornire al cliente non solo prestazioni d'eccellenza ma anche tutela a 360° accade sempre più spesso che singoli avvocati o gruppi ristretti mettano in comune le proprie conoscenze e la propria esperienza per moltiplicare la propria efficacia professionale. Ecco nascere e proliferare le associazioni forensi, molto spesso a carattere multidisciplinare, ospitanti non solo gli avvocati iscritti all'albo ma anche altri liberi professionisti espressamente indicati dalla legge. Il rapporto di ogni singolo legale deve essere unico ed esclusivo nei riguardi della singola associazione, non potendo lo stesso appartenere a più associazioni contemporaneamente. La norma fa poi espresso rinvio all'articolo 2549 del Codice Civile inerente al contratto di associazione in partecipazione: i rapporti interni tra avvocati e professionisti possono essere regolati mutuando tale disciplina. Infine, le associazioni tra avvocati non possono fallire né essere assoggettate a procedura concorsuale. Le violazioni attinenti tale materia costituiscono illecito disciplinare.

Le specializzazioni (art. 9)

Nella medesima ottica sociale ed economica ecco presentarsi la necessità per il singolo avvocato di divenire un vero e proprio specialista di una determinata materia giuridica: ciò per permettere ai professionisti di un determinato ramo di rimanere sempre aggiornati e, di conseguenza, per fornire all'utente un servizio di altissima qualità. La norma stabilisce tuttavia che la qualifica di specialista può essere menzionata dall'avvocato solo nel caso in cui egli abbia seguito idonei corsi di formazione dalla durata "almeno biennale" e comunque solo se in grado di provare concretamente la propria esperienza in quel particolare settore. Uno dei criteri utilizzati dal Consiglio Nazionale Forense e dal Ministero della Giustizia consiste, ad esempio, nell'anzianità di iscrizione all'albo.

L'obbligo di formazione continua (art. 11)

La preparazione del professionista e la fornitura di un servizio di alta qualità sono da sempre aspetti al centro degli interessi del legislatore. La creazione ed il mantenimento di un legale competente è uno degli obiettivi primari della riforma la quale, al primo comma dell'articolo 11, conferisce espressamente l'onere di organizzare e di curare l'istituzione di corsi di formazione e di controllare il grado di effettiva partecipazione dei consociati in capo al Consiglio Nazionale Forense. Tale organo deve organizzare tali attività "superando l'attuale sistema dei crediti formativi". Si prospettano perciò importanti cambiamenti in merito all'istituzione ed alla partecipazione ai corsi di aggiornamento professionale.

L'obbligo di assicurazione professionale (Rc professionale; art. 12)

Al fine di tutelare i clienti nel caso in cui si verifichino episodi di negligenza ed imperizia del professionista la legge ha introdotto il vincolo per lo stesso, pena sanzione disciplinare, di stipulare apposita polizza assicurativa professionale che indennizzi il cliente nel caso in cui il servizio non sia prestato a regola d'arte. Rientrano espressamente entro tale copertura, oltre al rischio legato all'attività professionale in senso stretto, anche gli eventi lesivi della custodia di documenti, del denaro ricevuto a copertura delle spese di lite e di tutti i valori consegnati al legale a titolo di deposito. Sarà onere dell'avvocato, inoltre, stipulare idonea polizza assicurativa che copra non solo le mancanze proprie ma anche quelle di praticanti e collaboratori.

La conferma del divieto del patto di quota lite (art. 13 comma 4)

Come noto, il patto di quota lite consiste nell'accordo tra professionista e cliente volto a stabilire, a guisa di compenso per l'avvocato, la percentuale a lui spettante in caso di vittoria di causa. Questa percentuale può variare dalla parzialità alla totalità rispetto al compenso complessivo. Nel nostro ordinamento tale usanza è stata da sempre osteggiata poiché non consentirebbe al professionista di mantenere il giusto distacco rispetto agli interessi del cliente: in tal modo, infatti, il rischio di una vera e propria commistione sarebbe altissimo, tale da non poter definire professionale l'operare dell'avvocato. Ecco quindi intervenire nuovamente ed espressamente la lettera della legge, la quale ne fa espresso divieto, naturalmente passibile di sanzione disciplinare.

Pattuizione per iscritto del compenso ed obbligo di trasparenza professionale (art. 13 comma 2 e seguenti)

Poiché obiettivi fondamentali della riforma sono rendere quanto più trasparente possibile l'attività forense nonché tutelare il cliente da possibili raggiri, ecco elevata la forma scritta a mezzo principale di pattuizione del compenso al professionista. Recita testualmente la norma che "Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale". Non essendo tuttavia previsto un vero e proprio onere a carico del professionista si può ritenere però che l'avvocato debba informare il cliente circa l'entità delle spese di giudizio - di fatto e presunte - poste a carico dello stesso, chiaramente separando le voci di spesa relativa al proprio compenso dagli altri costi. Sulla materia è chiamato ad intervenire il Ministero della Giustizia che, consultandosi con il CNF, dovrà fornire i parametri operativi a cui dovranno ispirarsi i Giudici nella liquidazione delle spese di lite, nonché i legali stessi nel caso in cui il compenso non venga pattuito a monte.

I giovani, la pratica forense e l'abilitazione alla professione (Titolo IV, artt. 40 - 49)

Tra gli ultimi ma non tale il titolo relativo all'accesso alla professione forense. Con l'articolo 41, comma 11, è stato ufficializzato il praticantato gratuito per i giovani aspiranti avvocato che dovranno prestare la loro opera senza retribuzione almeno per i primi sei mesi di pratica legale. Il periodo di tirocinio forense, alternato tra formazione individuale e vera e propria attività di studio legale, è stato tuttavia ridotto da ventiquattro a diciotto mesi di pratica effettiva. Terminato tale periodo sarà facoltà (e non obbligo) del dominus riconoscere al collaboratore congruo compenso rapportato alle effettive capacità ed impegno del praticante nell'ambito dell'attività dello studio.

I giovani aspiranti, terminato il periodo di praticantato, dovranno poi affrontare l'esame di abilitazione alla professione, già arduo in precedenza e reso ancora più aspro dall'abolizione della previsione di utilizzo di codici commentati con la giurisprudenza, il cui utilizzo è stato consentito soltanto sino alla sessione scritta del 2014. Dalla sessione 2015 saranno ammessi, pena l'esclusione dall'esame, soltanto i testi contenenti unicamente la normativa. La riforma introduce tuttavia l'obbligo per le Commissioni d'esame di motivare, seppur succintamente, le proprie valutazioni, a maggior ragione nei casi di insufficienza.

Questi i punti fondamentali contenuti nella riforma forense. Per approfondire, leggi il testo completo.


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