Quali saranno i temi su cui gli aspiranti avvocati saranno chiamati a pronunciarsi l'11, il 12 e il 13 dicembre prossimi, in quella che si preannuncia come una delle ultime tornate di esame con le vecchie regole?
A questa domanda Justowin spera di poter dare risposta con la giornata Full immersion esame avvocato 2012.
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Per intanto in attesa del 5 dicembre ve ne proponiamo uno dei papabili.....

   TRACCIA
Con decreto 26.09.2012 il GIP del Tribunale di Siracusa ha disposto il sequestro preventivo di un'erigenda costruzione in relazione all'ipotizzato reato di costruzione abusiva ex art 44 lett. b, D.P.R. n. 380/2001. La misura di cautela reale è stata applicata semplicemente sul presupposto che le opere edilizie fossero state approvate con permesso di costruire illegittimo (nel caso di specie -di una situazione di macroscopica violazione della disciplina urbanistica).
I proprietari dell'area in favore dei quali era stato rilasciato il permesso di costruire si rivolgono ad un legale ritenendo abnorme il provvedimento di sequestro adottato.
Il candidato premessi brevi canni sul potere di disapplicazione dei provvedimenti amministrativi da parte del giudice penale rediga motivato parere.

Svolgimento a cura di Rossella E. Cefaly (corsista Justowin Roma 2012)

La questione giuridica oggetto dell'odierno motivato parere, concerne la valutazione di legittimità del decreto con cui è stato disposto il sequestro preventivo di un'erigenda costruzione in relazione all'ipotizzato reato di costruzione abusiva ex articolo 44 lett.b., D.P.R. n.380 del 2001. Nel caso in esame, il Gip del Tribunale di Siracusa, con decreto ha disposto il sequestro preventivo di un manufatto, la cui edificazione non era stata ancora ultimata, sul presupposto della illegittimità della licenza edilizia affetta in particolare da una macroscopica violazione della disciplina urbanistica. Prima di procedere all'analisi accurata della vicenda sopra esposta, occorre soffermarsi sui poteri di disapplicazione dei provvedimenti amministrativi da parte del Giudice penale.
Nel nostro ordinamento in virtù delle previsioni contenute nella L.A.C. si fa discendere in favore del giudice penale un generale potere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi tutte le volte in cui l'atto amministrativo si ponga come elemento integrativo della fattispecie penale. E' da precisare tuttavia che i provvedimenti amministrativi che rimuovono un ostacolo al libero esercizio dei diritti o che costituiscono diritti in capo a soggetti privati, se illegittimi, non saranno suscettibili di disapplicazione in sede penale a pena di realizzare una tendenzialmente non consentita disapplicazione in malam partem per ciò solo contrastante con il principio di divieto di analogia, irretroattività e tassatività.
Fu la giurisprudenza pretorile, negli anni '70, a ricondurre alla carenza di concessione edilizia le ipotesi di lavori eseguiti sulla base di concessione illegittima: cioè viziata, o per inosservanza dei presupposti formali di legittimità, o in violazione del vincolo di inedificabilità stabilito dalla legge in assenza di strumenti urbanistici, ovvero in contrasto con i limiti imposti dalla pianificazione vigente.
Venne affermato che, in ipotesi siffatte, il giudice penale - avvalendosi dei poteri attribuiti al giudice ordinario dall'art. 5 della legge 20.3.1865, n. 2248, all. E) - può compiere una valutazione del titolo abilitativo, al fine di verificarne la legalità.
Qualora egli riscontri eventuali vizi di illegittimità, può disapplicare l'atto amministrativo illegittimo, considerando ad ogni effetto i lavori come eseguiti in assenza di titolo abilitante.
Questa Corte Suprema non assunse, al riguardo, un orientamento uniforme, in quanto:
- talune decisioni affermarono che l'illegittimità della concessione fosse assimilabile alla mancanza della stessa;
- altre distinsero tra concessione illegittima e concessione illecita, escludendo - nel primo caso - la sussistenza di un presupposto essenziale del reato;
- altre ancora ravvisarono, nell'ipotesi di concessione illegittima, la violazione dell'art. 17, lett. a), della legge n. 10/1977 e non quella più grave di cui alla lett. b).
La tesi della "disapplicazione" venne confutata da autorevole dottrina, sull'assunto che l'art. 5 della legge n. 2248/1985 non può spiegare alcuna efficacia nell'ambito del processo penale, in quanto questo non è rivolto alla tutela di diritti soggettivi, bensì all'accertamento della corrispondenza di un fatto alla fattispecie incriminatrice.
Non vi è, insomma, una parte che possa chiedere al giudice il disconoscimento di una disciplina imposta da un provvedimento amministrativo illegittimo, con sacrificio di relazioni giuridiche alle quali esso partecipa; il provvedimento illegittimo, invece, potrebbe costituire soltanto il presupposto di un reato.
Alcuni Autori asserirono, al riguardo, che la disapplicazione si risolverebbe, agli effetti penali, in una forma di retroattività "in malam partem", dal momento che, con essa, si qualificherebbe postumamente illecita una condotta posta in essere in conformità ad un titolo assistito dalla presunzione di legittimità degli atti amministrativi, che è principio generale del nostro ordinamento.
Un notevole contributo alla configurazione della questione venne fornito da questa III Sezione penale con l'ordinanza 13.3.1985, ove si affermò perentoriamente che la norma incriminatrice all'epoca posta dall'art. 17, lett. b), della legge n. 10/1977 ricollegava la sanzione penale alla "insussistenza" del provvedimento amministrativo e non anche alla sua "illegalità".
In decisioni successive si ribadì che il giudice penale deve controllare soltanto l'esistenza dell'atto sulla base dell'esteriorità formale e della sua provenienza dall'organo legittimato ad emetterlo, ulteriormente precisando che deve parlarsi di assenza dell'atto non solo qualora esso sia stato emesso da un organo assolutamente privo del potere di provvedere, ma anche qualora il provvedimento sia frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia e del soggetto privato che lo consegue e, quindi, non sia riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, oltre la quale non è dato operare ai pubblici poteri (cfr. Cass., Sez. III, 31.3.1986).
Il contrasto giurisprudenziale rese opportuno l'intervento delle Sezioni Unite e queste — con decisione del 31.1.1987, — statuirono che "il potere del giudice penale di conoscere della illegittimità della concessione edilizia non è riconducibile al potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo riconosciutogli dagli artt. 4 e 5 della legge n. 2248 del 1865, all. E), ma deve trovare fondamento o giustificazione o in esplicita previsione legislativa ovvero nell'ambito della interpretazione ermeneutica della norma penale, qualora l'illegittimità dell'atto amministrativo si presenti, essa stessa, come elemento essenziale della fattispecie criminosa".
Le Sezioni Unite affermarono, nella sentenza Giordano, che - dalla lettura congiunta degli artt. 4 e 5 della legge del 1865 - "si evince chiaramente che le norme in questione non introducono affatto un principio generalizzato di disapplicazione di atti amministrativi illegittimi da parte del giudice ordinario (sia esso civile o penale) per esigenze di diritto oggettivo, ma che, al contrario, il controllo sulla legittimità dell'atto amministrativo è stato rigorosamente limitato dal legislatore ai soli atti incidenti negativamente sui diritti soggettivi ed alla specifica condizione che si tratti di accertamento incidentale, che lasci persistere gli effetti che l'alto medesimo è capace di produrre all'esterno del giudizio.
Opinare diversamente non solo comporta l'estensione al diritto oggettivo di una regola dettata unicamente a tutela dei diritti soggettivi, ma comporta altresì - con violazione del principio della divisione dei poteri - l'attribuzione al giudice penale di un potere di controllo e d'ingerenza esterna sull'attività amministrativa e, quindi, l'esercizio di un'attività gestionale che dalla legge è, invece, demandata in esclusiva ad altro potere dello Stato.
Ciò, peraltro, non esclude che, in determinati casi, il giudice penale non possa egualmente conoscere della illegittimità dell'atto amministrativo.
Tale possibilità, tuttavia, non è riconducibile al potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo riconosciutogli dagli artt. 4 e 5 della legge del 1865, ma deve, invece, trovare fondamento e giustificazione o in una esplicita previsione legislativa (come, ad esempio, avviene con il disposto dell'art. 650 cod, pen.) ovvero, nell'ambito dell'interpretazione ermeneutica della norma penale, qualora l'illegittimità dell'atto amministrativo si presenti, essa stessa, come elemento essenziale della fattispecie criminosa".
Sulla base di tali principi affermarono le Sezioni Unite che la disposizione di cui all'art. 17, lett. b), della legge n. 10/1977 non poteva considerarsi "funzionale alla tutela dell'interesse all'osservanza delle norme di diritto sostanziale che disciplinano l'attività edilizia", poiché "l'interesse tutelato da tale norma è quello pubblico di sottoporre l'attività edilizia al preventivo controllo della P.A., con conseguente imposizione, a chi voglia edificare, dell'obbligo di richiedere l'apposita autorizzazione amministrativa".
Un netto dissenso dall'anzidetto orientamento venne espresso in una successiva sentenza (Cass., Sez. III, 9.1.1989, n. 2766), ove si affermò che la questione doveva essere riesaminata alla stregua dei principi informatori della legge n. 47/1985, avendo tale legge profondamente mutato l'oggetto stesso della tutela penale, incentrata ormai sul criterio sostanziale della conformità delle opere alla normativa urbanistica. Al giudice penale venne riconosciuta così la potestà di non tenere conto dell'atto amministrativo illegittimo, essendo divenuta la illegittimità dell'atto essa stessa un elemento essenziale della fattispecie criminosa.
Seguirono ulteriori oscillazioni giurisprudenziali per cui le Sezioni Unite hanno avuto occasione di pronunciarsi nuovamente sulla questione e - con la sentenza 12.11.1993, - hanno affermato che "al giudice penale non è affidato, in definitiva, alcun sindacato sull'atto amministrativo, ma questi, nell'esercizio della potestà penale, è tenuto ad accertare la conformità ira ipotesi di fallo (opera esegue o eseguita) e, fattispecie legale (identificata dalle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia, dalle previsioni degli strumenti urbanistici e dalle prescrizioni del regolamento edilizio).
Il complesso di tali disposizioni, previsioni e prescrizioni, tutte insieme considerate, costituisce il parametro organico per l'accertamento della liceità o dell'illiceità dell'opera edilizia e ciò in quanto l'oggetto della tutela penale apprestata dall'art. 20 della legge n. 47/1985 [oggi art. 44 del T.U. n. 380/2001] non è più - come nella legge n. 1150 del 1942 - il bene strumentale del controllo e della disciplina degli usi del territorio, bensì la salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio medesimo".
Applicando le siffatte coordinate emeneutiche alla questione de quo  si deve affermare e ribadire che:
a) il giudice penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale del titolo abilitativo edilizio, procede ad un'identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna "disapplicazione" riconducibile all'enunciato dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E), né incide, con indebita ingerenza; sulla sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, poiché esercita un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice;
b) la "macroscopica illegittimità" del provvedimento amministrativo non è condizione essenziale per la configurabilità di un'ipotesi di reato ex art. 44 del T.U. n. 380/2001; mentre (a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi dell'amministrazione) l'accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell'elemento soggettivo della contravvenzione contestata anche riguardo all'apprezzamento della colpa;
c) spetta in ogni caso al giudice del merito, e non certo a quello del riesame di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in concreto, di eventuali situazioni di buona fede e di affidamento incolpevole.
Una deroga a quanto esposto, e, quindi, un'ipotesi di disapplicazione in "malam partem" sarà ipotizzabile nel caso in cui l'illegittimità dell'atto risulti macroscopica ovvero qualora l'atto autorizzativo o concessorio, derivi da accordo corruttivo tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione, in quanto nelle ipotesi menzionate non si verificherebbe una lesione dell'illegittimo affidamento da parte del privato.
Quanto argomentato assume rilievo in ordine alla fattispecie giuridica prospettata.
Infatti, il Gip del Tribunale di Siracusa, disponendo il sequestro conservativo dell'erigenda costruzione ha ritenuto che si fosse in presenza di una macroscopica violazione della disciplina che pertanto avrebbe potuto dar vita solo nella successiva fase processuale, alla disapplicazione del permesso a costruire illegittimo.
Tali conclusioni sono state fatte proprie anche dalla Suprema Corte di Cassazione che, con la sentenza n.3725 del 2005 ha stabilito in tema di disapplicazione di un provvedimento amministrativo che, come già specificato, rimuova un ostacolo all'esercizio di diritti soggettivi, ovvero diano vita a diritti in capo a soggetti privati "che se illegittimi, non possano essere disapplicati, a meno che l'illegittimità dell'atto non risulti macroscopica o eclatante ovvero la disapplicazione non trovi fondamento, rispettivamente, in una esplicita previsione legislativa o nel generale potere del giudice e di interpretare la norma penale nei casi in cui l'illegittimità dell'atto amministrativo si configuri essa stessa come elemento essenziale della fattispecie criminosa ovvero l'atto anzidetto, per essere frutto di collisione fra amministratore e soggetti interessati, non possa essere oggettivamente riferito alla sfera del lecito giuridico".
Di contro, la stessa Corte di Cassazione nel 2006 con l'arresto n° 21487 ha ritenuto, in relazione alla macroscopica illegittimità dell'atto riconducibile alla pubblica amministrazione, che essa non sia condizione essenziale per la realizzazione del reato ex articolo 44 del T.U. n.380 del 2001, ma che "spetti in ogni caso al giudice di merito e non certo a quello del riesame del provvedimento di sequestro, la individuazione, in concreto, di eventuali situazioni di buona fede e di affidamento incolpevole".
Con riferimento, al caso in esame, sulla possibilità di ritenere abnorme la misura cautelare disposta dal Gip, è opportuno evidenziare che la costruzione dell'edificio, oggetto del sequestro preventivo non fosse ancora terminata e che pertanto la presenza di tale circostanza non legittimava l'emissione del decreto con cui veniva disposta la predetta misura cautelare in mancanza di specifica motivazione circa la sussistenza del periculum derivante dalla disponibilità materiale del bene in capo al proprietario.
Sulla questione si sono pronunciati i giudici di legittimità con la sentenza n.17170 del 2010, nella quale si è affermato che " per i reati edilizi, è ammissibile il sequestro di un immobile costruito abusivamente la cui edificazione sia ultimata, fermo restando l'obbligo di motivazione del giudice circa le conseguenze antigiuridiche ed ulteriori rispetto alla consumazione del reato, derivanti dall'uso dell'edificio realizzato abusivamente che la misura cautelare intende inibire".Alla luce di quanto esposto può concludersi per il possibile annullamento del provvedimento cautelare emesso con il quale de quo con un evidente salto logico ha omesso di motivare sulla sussistenza fattuale delle circostanze specifiche poste a fondamento del potere cautelare attribuitogli dalla legge.


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