Assolavoro, l'Associazione nazionale di categoria delle Agenzie del Lavoro, ha recentemente sollevato un'importante questione interpretativa inerente le modalità di computo del periodo massimo di occupazione del lavoratore nel caso in cui lo stesso fosse soggetto al susseguirsi di più contratti di impiego a tempo determinato. Statuisce la normativa ex d. lgs. 368/2001 che

"(...) qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato". Il dubbio espresso dall'Associazione sorgeva laddove, esauriti i trentasei mesi di assunzione a tempo determinato previsti dalla Legge, fosse possibile procedere all'assunzione a mezzo contratto di somministrazione a tempo determinato nei confronti dello stesso lavoratore.

Premettendo che il limite dei trentasei mesi di Legge è comunque derogabile dalla contrattazione collettiva, la Direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del Lavoro ha fatto chiarezza sul problema nel suo interpello n.32 del 19 Ottobre 2012. La Direzione generale ha fornito importante interpretazione della materia regolata dall'art. 5 decreto legislativo 368/2001 ("Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES") modificata dalla Legge 92/2012, c.d. "riforma del Lavoro". Il punto cruciale consiste nella diversa fonte regolatrice di queste due fattispecie contrattuali: se la normativa inerente il contratto a tempo determinato è contenuta nel decreto sopra citato, il contratto di somministrazione a tempo determinato è soggetto ad originaria diversa disciplina normativa.

Esso infatti trova regolamentazione nel decreto legislativo 276/2003 e, sino all'entrata in vigore della riforma del Lavoro 2012, rappresentava uno strumento contrattuale totalmente svincolato dal precedente. La Legge 92/2012 ha investito entrambe le fattispecie contrattuali includendo espressamente nel periodo massimo di computo del periodo di impiego a tempo determinato proprio anche il contratto di somministrazione a tempo determinato ("(…) ai fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti (...) inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato". La norma ha il preciso scopo di evitare che, fatto salvo il requisito della medesima mansione svolta, si possa aggirare il limite dei trentasei mesi prima previsto soltanto per l'esclusiva tipologia di contratto a tempo determinato. Unica deroga prevista la possibilità di stipulare per una sola volta, a determinate condizioni ben specificate dalla Legge (in particolare, in presenza delle associazioni di categoria più rappresentative a livello nazionale a cui il lavoratore conferisca espresso mandato) un ulteriore contratto di lavoro a termine.

La nuova regola ha tuttavia valore soltanto a partire dal 18 Luglio 2012: prima di tale data i diversi contratti stipulati vanno considerati separatamente, avendo gli stessi origine da differenti previsioni normative. Per tutte quelle situazioni in cui a contratti a tempo determinato stipulati nei limiti di legge hanno fatto seguito contratti di somministrazione a tempo determinato (o viceversa) perfezionati prima di tale data non sarà possibile promuovere azione giudiziale per la conversione del contratto dal tempo determinato all'indeterminato.

Si aggiunge per completezza che l'interpretazione sopra esposta vale per i contratti di impiego subordinato, avendo previsto la riforma differente disciplina derogativa per i contratti stipulati dai dirigenti. Per gli stessi è infatti prevista la possibilità di concludere contratti a tempo determinato, purché gli stessi non superino i cinque anni di durata. I dirigenti conservano tuttavia diritto di recesso trascorsi tre anni dall'assunzione, rispettando pur sempre i limiti posti dall'art. 2118 Codice Civile.


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