La Corte Costituzionale ha rigettato il ricorso di legittimità costituzionale degli articoli 79, primo e secondo comma, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24 e 25 della Legge n. 392 del 1978, nella parte in cui non prevedono che la differenza tra il canone equo e quello pattizio sia a carico dell'erario. Secondo la Corte, infatti, le scelte di predeterminare il canone di locazione sulla base di parametri oggettivi, di sanzionare con la nullità qualunque patto diretto a corrispondere al locatore un canone maggiore e di prevedere per il conduttore l'azione di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte, senza attribuire alcun rilievo alla capacità economica di quest'ultimo, costituiscono espressione di un ponderato e non irragionevole bilanciamento di interessi, che si sottrae alle dedotte censure di incostituzionalità. Inoltre, ha osservato il Giudice delle Leggi, la modifica della disciplina delle locazioni è stata attuata in modo necessariamente graduale, con la previsione di un periodo transitorio, durante il quale le norme sull'equo canone, pur abrogate dalla legge n. 431 del 1998, continuano ovviamente ad applicarsi fino all'esaurimento o alla trasformazione dei vecchi rapporti di locazione. Non solo: la modifica auspicata dal rimettente, consistente nel porre a carico della collettività il pagamento della differenza tra canone equo e canone contrattuale, non solo non è costituzionalmente obbligata, ma potrebbe essa sì presentare profili di irragionevolezza. (Corte Costituzionale Ordinanza 22 - 26 settembre 2003, n.298).

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