I giudici di Palazzo Spada affrontano la suggestiva tematica dei rapporti tra il giudicato amministrativo ed il successivo riesercizio del potere da parte della P.A. in via di autotutela decisoria, nello specifico nell'ambito delle procedure di gara, richiamando nella parte in diritto una propria pronuncia di qualche mese prima (CdS, sez. V, sent. n. 3078 del 23.05.2011). A sostegno dell'orientamento favorevole alla possibilità di ritirare in via di autotutela gli atti di gara (dal bando al provvedimento di aggiudicazione definitiva), viene citato in primis il codice dei contratti pubblici, che, in tema di termine ultimo per la stipulazione del contratto, fa salvo il potere di autotutela dell'amministrazione, conformemente ai principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa e fatti propri dal legislatore con la legge n. 15/2005. Alla base di tale assunto giurisprudenziale si rinvengono il principio dell'imparzialità e buon andamento della funzione amministrativa e l'art. 1328 c.c. in base al quale la proposta di concludere il contratto, al quale è assimilabile l'atto di indizione di gara, è sempre revocabile fino alla conclusione dello stesso negozio. Il Consiglio di Stato, poste queste premesse, ritiene opportuno riconsiderare il tema dell'interferenza tra autotutela amministrativa e giudicato del G.A. alla luce dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo. Sul punto i giudici di secondo grado, in linea con il proprio precedente orientamento favorevole alla possibilità di un intervento in via di autotutela da parte dell'amministrazione, ritengono che nel rapporto tra giudicato e autotutela non prevalga il primo a priori, ma che sia necessaria in concreto un'attenta analisi della portata della pronuncia passata in giudicato ed in particolare del riconoscimento del bene della vita in essa contenuto. Di conseguenza, ove il giudicato lasci margini all'azione amministrativa, ovvero ammetta espressamente il riesercizio del potere, come nel caso concreto sul quale si sono pronunciati i giudici di palazzo Spada, non è in alcun modo configurabile la fattispecie dell'inottemperanza nella sua triplice forma dell'inesecuzione, violazione o elusione del giudicato. A parere dello scrivente pare possibile trarre dalla sentenza un criterio applicabile in generale alla rinnovazione del potere amministrativo a seguito di una pronuncia definitiva di annullamento. Ridurre la portata del principio affermato dal giudice di secondo grado al solo profilo specifico dell'esercizio del potere in via di autotutela pare riduttivo. Tale principio si può ritenere infatti operante sul versante dell'effetto conformativo della sentenza di annullamento. In tema di rinnovazione del potere amministrativo va pertanto riconosciuta la valenza generale del vincolo costituito dall'accertamento concreto, in relazione al bene della vita, contenuto nella sentenza, che l'amministrazione deve rispettare a pena di incorrere nella fattispecie dell'inottemperanza al giudicato.
dott. Filippo De Luca
Cultore della materia in diritto amministrativo Università di Ferrara
Specializzato nelle professioni legali
Abilitato all'esercizio della professione forense
e-mail: filippodeluca86@gmail.com


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